QUANDO L'ATTUALITÀ INCROCIA LA STORIA
Barò porrajmos e…
altre storie “zingare”
di Erveda Sansi
Ho letto spesso sui quotidiani, soprattutto in questi ultimi tempi, notizie sconcertanti riguardanti gli “zingari” stanziati in Italia. Incuriosita ho iniziato a cercare informazioni su di loro e mi sono imbattuta in tre libri che, quale luogo di origine degli “zingari”, indicavano un quartiere in India, dal nome Sansi (Nebojša Bato Tomaševic, Rajko Djuri, Zingari, Rizzoli; Danielle Soustre de Condat, Rom una cultura negata, Città di Palermo 1997 e Bart McDowell, Zingari vagabondi nel mondo, Giunti). Mi sono così ritrovata ad immaginarmi di avere delle ascendenze in questo gruppo etnico, fantasia che produceva in me una sensazione di disagio, persino di imbarazzo. Toccata in prima persona, sono stata sopraffatta da tutta una serie di stereotipi e pregiudizi antizingari e, di conseguenza, ancora più motivata ad approfondire questo tipo di impressioni.
Non voglio però riproporre qui il noioso cliché della mitologica gitanità e nemmeno far diventare oggetto di esotismo gli “zingari”, ma cercare di conoscere una realtà scomoda, bisognosa di soluzioni. Non però della “soluzione finale” ideata dall’ideologia nazi–fascista. Nei campi di sterminio, secondo Simon Wiesenthal, sono stati assassinati milioni di “zingari”, anche se quelli attestati ammontano a 500.000, perché risultano solo quelli “repertoriati” dagli scienziati per i loro esperimenti. Silvio Peritore, che si occupa di politica della memoria, scrive: «I medici e gli antropologi, come ad esempio Robert Ritter, direttore della Rassenhygienische Forschungsstelle, l’istituto per la ricerca sull’igiene di razza, fondata a Berlino nel 1936, giustificava il genocidio ideologicamente e creava le basi per la sua realizzazione attraverso la registrazione di tutti i Sinti e i Rom che vivevano nel Reich».
«...il termine “zingari” si riferisce a un “vortice” di persone variabile nello spazio e nel tempo», scrive Leonardo Piasere, «è un termine che rimanda a una categorizzazione politetica, un termine utilizzato dai non zingari con una coloritura fortemente stigmatizzante e discriminatoria». A est di una linea ideale tracciata da Helsinki a Roma, passando da Vienna e Praga, si trova, sotto il profilo storico, il gruppo che si autodefinisce rom, mentre a ovest di tale linea si trovano sia una minoranza di rom, che gruppi che si denominano come sinti, manuś, kale (e kalos), romanićels, ognuna delle quali con delle possibili varianti.
Esiste un terzo gruppo di “zingari” che non parla, o non ha mai parlato lingue neo-indiane. Sono categorizzati come “zingari” a causa del loro nomadismo o status di paria: travellers, jenische, woonwagenbewoner, caminanti, charchianti, rudari ecc. «L’Europa moderna ha costruito decine e decine di gruppi stigmatizzati, nomadi e sedentari, formati da famiglie o individui che venivano espulsi dai processi di produzione e pauperizzati e che, letteralmente, venivano buttati sulla strada o ai margini dei villaggi», scrive Piasere, e aggiunge che non c’è niente di anomalo nel pensare che alcuni di questi gruppi abbiano saputo costruirsi una identità distinta dalla popolazione maggioritaria, magari anche prima dell’era moderna, perché proporre che tutti gli “zingari” siano di origine indiana significa voler censurare la capacità di fabbricare “zingari” che l’Europa ha e continua ad avere.
Leonardo Piasere nel suo I rom d’Europa afferma che le persone identificate come zingari hanno spesso come unico tratto comune la stigmatizzazione negativa da parte di chi non si considerava zingaro.
Le loro prime espulsioni e persecuzioni pare risalgano al periodo dell’inquisizione, ma il tentativo della loro completa esclusione diventa scientifica nel ventesimo secolo. Scrive Cesare Lombroso, che si basava sulla fisiognomica e che è studiato ancora oggi nei manuali di psichiatria: «Gli zingari sono un’intera razza di delinquenti, e ne riproducono tutte le passioni e i vizi: l’oziosità e l’ignavia, l’ira impetuosa, la vanità, l’amor dell’orgia, la ferocia». Su questi e altri concetti errati, come quello di “gruppo asociale”, usati dai professionisti nazisti della “pulizia etnico-sociale”, si basa la negazione degli zingari dei giorni nostri.
Sono stati necessari quattro decenni perché, nel 1982, il genocidio di rom e sinti venisse ufficialmente riconosciuto. Nel 1990 a Heidelberg è nato, con il supporto del governo tedesco, il Centro di documentazione e della cultura di Sinti e Rom – www.sintiundroma.de –, inaugurato nel 1997 e unico in Europa, contemporaneamente all’apertura della mostra permanente sul genocidio degli zingari. Scopo del “reparto documentazione” è quello di documentare i 600 anni di persecuzione di questa minoranza, con priorità alle registrazioni e alle interviste dei sopravvissuti al genocidio, riservando particolare attenzione alle loro testimonianze. I materiali conservati nel Centro sono stati messi a disposizione di numerose mostre esterne. Il “reparto del dialogo” si occupa della trasmissione del sapere, quindi anche dell’informazione sui pregiudizi e sull’antiziganismo dei giorni nostri, e di corsi di formazione per insegnanti su questo tema, dove stereotipi e pregiudizi sono approfonditi e discussi in modo dettagliato dal punto di vista della cultura condivisa, del senso comune, della pubblicità e dei mass-media.
Gli “zingari” sono presenti in quasi tutti i paesi del mondo, e sono ora come allora sistematicamente privati dei loro diritti ed emarginati dagli spazi della vita pubblica, in modo particolare in Italia. La tsiganologa Danielle Soustre de Condat sostiene che l’ostilità nei loro confronti è causata dalla mancanza di una precisa informazione, e che solo attraverso la conoscenza della cultura zingara eviteremo di renderci complici di un etnocidio.
La storia di una parte queste genti, in gran parte europei, possiamo ripercorrerla attraverso i loro racconti orali o i documenti storici dei paesi da loro attraversati. Tuttavia solo a partire dal 1544, quando il geografo Sebastan Münster dedicò un capitolo del suo Cosmographia universalis pubblicato a Basilea e affermò che la loro provenienza dovesse essere l’India, vi fu una svolta nelle indagini che li riguardava. Alla fine del ‘700, per mezzo della filologia e della glottologia, si inizia a percepirli come gruppo etnico con una propria specificità, a cominciare dalla loro lingua: le molteplici varianti del rómani hanno le loro radici nelle varianti popolari di una delle lingue indoeuropee più antiche, il sanscrito, e sono simili agli idiomi parlati attualmente nell’India del nord-ovest. Nel 1990, in occasione della Romani Union che si è tenuto a Varsavia sotto l’alto patrocinio dell’Unesco, è stata realizzata l’unificazione dell’alfabeto rómani (o romanès). La conservazione di questa lingua, rappresenta una parte fondamentale dell’identità culturale di questa minoranza, come conferma la Carta europea per le lingue regionali e minoritarie.
Le ricerche del filologo sloveno Franz Xaver Miklosich, sulla base del vasto materiale linguistico e di molte similitudini tracciate tra la fonetica degli idiomi del Kafiristan, del Dardistan e del Kashmir lo portano a fissare il momento della loro emigrazione da quelle regioni intorno all’anno mille. Miklosich non solo ipotizza che la lingua degli zingari si avvicina di più ai dialetti indiani antichi che a quelli moderni, ma traccia tutte le tappe del loro percorso dall’India all’Europa, attraverso la Persia, l’Armenia e la Grecia, attestate dai prestiti linguistici che la lingua rómani ha preso dal persiano, armeno e greco. Probabilmente sono giunti nell’impero bizantino attraverso l’Armenia nel XI secolo.
Nel 1781 la filologia zingara attesta il parallelo tra la lingua degli “zingari” e gli idiomi dell’Indostan e le lingue della Persia. Nel 1844 lo studioso tedesco August Friedrich Pott, nella sua opera Die Zigeuner in Europa und Asien riporta il racconto del poema epico Shahnamech, scritto dal poeta persiano Firdusi, in cui si parla di 10.000 menestrelli, mandati dal re di Camboya in India al sovrano persiano Bahram Di Gor. Questi menestrelli, chiamati luri, sono poveri ma abili nell’arte del canto e della danza. Il cronista arabo Hamzah d’Ispahan nella sua storia dei re di Persia, narra di Bahram Di Gor, che ricevette in regalo 12.000 musicisti zott che distribuì in tutto il paese per rallegrare le feste.
Seguendo gli elementi linguistici, testimoni dei loro soggiorni e delle loro peregrinazioni, che via via si sono intersecati sulla struttura linguistica originaria, sono state fatte delle ricostruzioni, una delle quali li vede intorno al 1000 abbandonare la propria terra di origine, l’attuale Rajashtan in India, sotto la pressione islamica di Mahmud di Ghazni. Causa di ulteriori migrazioni sarebbero da attribuire alle successive invasioni di Mahmud di Gorh, Gengis Khan e Tamerlano. Mahmud di Ghazni, dopo aver sottomesso l’Afghanistan, il Punjab e il Sind (attuale Pakistan), volle conferire splendore alla capitale del suo regno, e portò molti artigiani e costruttori dall’India, tra i quali c’erano “zingari”.
Questo popolo, appartenente al gruppo Kshatryas-Rajputs, dopo essere rimasto in Persia presumibilmente per due secoli, sarebbe passato dal territorio armeno all’impero bizantino, subendo una grande influenza della lingua greca. In un documento dell’XI secolo gli “zingari” vengono individuati con la denominazione di adsincani, altrove vengono confusi con gli athinganoi, termine che deriva dal greco medievale intoccabile e con il quale si definivano dei cultori di magia provenienti dall’Asia minore, ritenuti eretici. Inoltre sono conosciuti come “egiziani” e già allora sono segnalati come addestratori di cavalli e acrobati, e le donne come “indovine da cui guardarsi”. All’epoca della conquista del Peloponneso da parte dei turchi, nel 1423, gli zingari si erano già stabiliti in quasi tutti i paesi balcanici. Nell’attuale Romania, ma anche in altre parti dell’Europa centrale, diventarono schiavi dei proprietari terrieri, dei cavalieri e della Chiesa, e riacquistarono la libertà in alcune zone, solo nel 1851.
Nel XV secolo la Chiesa fu molto ostile nei loro confronti. Nel 1449 ordinò loro di lasciare i territori dell’attuale Spagna. Una legislazione statale antizingara vera e propria inizia nel 1471 nella Federazione svizzera, seguita da Venezia nel 1483 e da Milano nel 1493; nel 1498 il Sacro Romano Impero bandisce gli zingari dai territori tedeschi e l’anno seguente da quelli di Castiglia e Aragona. Sotto il regno di Filippo V si arrivò ad accecarli e nel 1600 i portoghesi li deportarono in Africa, in India e in Brasile. Nel Capitale Marx illustra la lotta sanguinaria condotta contro i vagabondi e i poveri. Heinrich von Wislolocki asserisce che in alcuni paesi gli zingari sono stati perseguitati e puniti come eretici persino alla fine del XIX secolo.
Nonostante incontrassero continuamente guerre e persecuzioni, sopravvissero cercando rifugi, assimilandosi, e grazie al lavoro artigianale, perlopiù di fabbro e intagliatore, o come allevatori-mercanti di cavalli, musicisti, cantanti, ballerini e acrobati. L’accattonaggio si è esteso solo con la scomparsa dell’artigianato, prima era raramente praticato.
Questo popolo, che attualmente vive negli scampoli di terra che gli vengono imposti, all’ingresso o all’uscita delle periferie delle grandi città, in condizioni di sotto-ploretariato, è privato persino del nomadismo, o per meglio dire dell’antica erranza, e sono costretti a una sedentarietà che si realizza nella segregazione nei campi nomadi. La più numerosa delle minoranze linguistiche, a cui non viene riconosciuto un proprio statuto, vive in Europa da secoli e vede disconosciuti i propri più elementari diritti, come ad esempio il riconoscimento in quanto popolo di minoranza.
Gli zingari, generalmente considerati nomadi, lo sono solo in parte. Le ricerche di Piasere mostrano come già prima della 2ª guerra mondiale e in parte a partire dal ‘600, nella parte meridionale dell’Europa che comprende grosso modo Spagna, Portogallo, parte del sud della Francia, l’Italia meridionale, il Burgenland austriaco, i Carpazi, polacchi e ucraini, e i Balcani, la maggioranza degli zingari avevano un domicilio fisso. L’80% dei cosiddetti zingari sarebbero da tempo sedentari.
A partire dalle guerre che hanno travolto i paesi dell’ex-Jugoslavia, i profughi rom che si sono rifugiati in Italia sono stati riziganizzati all’occidentale e costretti a una mobilità forzata da un campo all’altro, nei grandi “campi nomadi” che, insieme ai campi di permanenza temporanea (CPT), rappresentano la nostra infamia nazionale.
Indicati come causa dei problemi, vengono attualmente considerati, come scrive Zygmut Bauman, “vite di scarto”.
«La situazione del comune di Milano e del suo hinterland, in quanto grande area metropolitana europea, è purtroppo esemplare nell’adozione di un preciso orientamento ideologico contro le popolazioni zingare», scrive Emiliano Laurenzi in Se questo è un rom, e aggiunge che «i provvedimenti discriminatori contro gli zingari, illegali, e l’uso di un linguaggio che fomenta atteggiamenti xenofobi e razzisti, sono stati denunciati, più volte, dagli organismi comunitari». È inoltre emerso che le cifre date dal Ministero dell’Interno, che avevano scatenato polemiche a partire dal novembre 2008 e generato il censimento dei rom nelle aree di sosta di tre regioni, erano gonfiate: infatti a Milano il totale dei rom ammonta a 5.346, e in Italia, secondo la Comunità di S. Egidio, i rom e sinti arrivano a 130.000 – 150.000 unità. Il prefetto Mosca, che aveva diretto e organizzato tutte le operazioni di censimento, è stato destituito, perché si era opposto alla rilevazione delle impronte digitali ai minori rom.
Risale alla fine del 2008 il monito dell’UNICEF, che rivolge al governo italiano la sua preoccupazione per la discriminazione dei rom in Italia. Secondo i dati dell’UNICEF, solo l’1% dei bambini rom in Italia frequenta la scuola primaria. Il rapporto dell’ENAR – European Network against Racism, denuncia l’atteggiamento di intenso razzismo dell’Italia, soprattutto nei confronti dei rom. Lo stato deplorevole del rispetto per gli zingari in Italia, è stato sottolineato anche all’interno del Parlamento Europeo (Corriere della sera, 18/11/2008). L’eurodeputata Victoria Mohacsi, dopo il suo viaggio in Italia, come conseguenza del rogo del campo nomadi di Ponticelli, parla delle aggressioni dei campi rom in termini di pogrom e ha ribadito «la necessità di fare chiarezza sul fenomeno della sottrazione di bambini Rom da parte delle Istituzioni italiane: centinaia di bambini dati in affidamento o adozione, di cui i genitori perdono le tracce».
Non solo nelle aree di sosta abusive, ma anche in quelle autorizzate, le condizioni igieniche non rispettano gli standard minimi, sono assenti misure di sicurezza per impianti di riscaldamento e illuminazione e spesso i campi si trovano in terreni altamente contaminati da sostanze dannose alla salute. La maggioranza degli “zingari” desidera una casa e poter vivere, una sistemazione civile e un lavoro e la possibilità per i bambini di poter frequentare la scuola. Cacciati ed espulsi da ogni parte, non hanno un posto dove stare: nel gennaio del 2007 ad Opera, alle porte di Milano, venne dato alle fiamme il campo nomadi allestito dalla Protezione Civile e a giugno del 2008 a Mestre fu bloccato un cantiere legale dove si stava edificando un campo nomadi finanziato dal Comune. A cavallo tra il 2008 e il 2009 sono stati attuati una serie di sgomberi in diverse città italiane, dove gli “zingari”, gran parte dei quali è di cittadinanza italiana, vengono considerati sgraditi vicini di casa, nei confronti dei quali si prova fastidio, paura, schifo. Solo in casi molto rari le decisioni di sgombero vengono affiancate da un programma di reinserimento abitativo, come a Venezia, dove la giunta comunale aveva predisposto un’area per i sinti costituita da un agglomerato di casette; iniziativa tuttavia osteggiata in vario modo. In ottobre del 2009, il vice-sindaco di Milano De Corato, in accordo con l’amministrazione comunale del comune di Cusago, ha chiesto al Governo 400.000 euro per costruire dei terrapieni a difesa di un’area dismessa; barriere erette per impedire gli spostamenti di un gruppo di nomadi.
A gennaio del 2010, durante i giorni “della merla”, notoriamente i giorni più freddi dell’anno, si è arrivati agli sgomberi n. 178 e n. 179, a partire dal 2007: tende e baracche sono state abbattute dal “Nucleo Problemi del Territorio” della polizia locale, senza lasciare il tempo agli abitanti di prendersi i loro pochi averi, nemmeno il passeggino per un neonato di sette mesi… Queste azioni, che l’attuale amministrazione di Milano vanta come un fiore all’occhiello, non risolvono i problemi, poiché alle persone sgomberate non viene assegnato un luogo idoneo dove poter vivere, e rievocano un clima che per molti aspetti è simile a quello che negli anni 30’ portò alla “soluzione finale”.
Sono rimasto in bilico // Sono rimasto in bilico / Sulla lama di un coltello // Sono rimasto gelato come la pietra. // Il mio cuore tremò / Son caduto sul filo del coltello. // M’è rimasta la mano destra / e l’occhio sinistro / ho versato lacrime / ad Auschwitz dove son rimasti gli Zingari. // La lacrima è scesa / la mano ha preso la penna / Per scrivere parole qualunque. (Rasim Sejdi, ROMANE KRLE – voci zingare, a cura di Piero Colacicchi)