COMUNICATO STAMPA DEL TELEFONO VIOLA DI MILANO
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TELEFONO VIOLA DI MILANO – CONTRO GLI ABUSI DELLA PSICHIATRIA
Via tei Transiti 28 Tel. 022846009
VENGONO ALLA LUCE LE VICENDE DI
ALTRI 7 RICOVERATI MORTI
NEI 3 REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA
LO SCANDALO DEI GROSSONI
E’ BEN PIU’ GRAVE
DELLO SCANDALO DELLA CLINICA SANTA RITA
.....
SUI NUOVI GRAVISSIMI ABUSI AI GROSSONI DI NIGUARDA
CONFERENZA STAMPA DEL TELEFONO VIOLA
MARTEDI’ 22 MARZO
ALLE ORE 12,00
PRESSO LA SALA STAMPA DEL TRIBUNALE DI MILANO
Telefono Viola di Milano: per informazioni tel. 333 463 7025
.....
Egregi direttori dei giornali della carta stampata, delle reti di informazioni on line, delle reti
televisive, delle reti radiofoniche,
per quasi 200 anni il manicomio ha rappresentato, nella cultura e nelle società europee, una sorta di
‘buco nero’. Il manicomio è stato un universo isolato, un mondo parallelo del tutto refrattario agli
universi dell’informazione, della giustizia, della stessa medicina. Delle cosiddette istituzioni totali è
indubbiamente stata la ‘più totale’.
In questi due secoli raramente l’informazione ha svelato che, delle due vocazioni del manicomio,
quella terapeutico-sanitaria ha spesso nascosto una continuata e grottesca parodia della medicina
organica: laddove pseudo pazienti, affetti da pseudo malattie, sono stati curati da pseudo medici con
pseudo terapie (spesso disumane), all’interno di pseudo ospedali.
A proposito dell’altra vocazione del manicomio, quella custodialistico-punitiva, per quasi tutto il
‘900 la magistratura italiana si è sempre fermata alla soglia dei manicomi. La legge 36/1904 sui
manicomi e il relativo regolamento 615/1909, hanno garantito al direttore del manicomio e allo
psichiatra manicomiale un potere così assoluto sugli internati da rappresentare una paradossale
eccezione nell’ordinamento giuridico italiano.
Passaggio cruciale di questa abdicazione dalla tradizione giuridica classica è il 1° comma dell’art.
60 di questo regolamento:
”Nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente
eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati
se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico
dell’istituto.”
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Ecco dunque che al direttore e allo psichiatra del manicomio viene riservato il potere di autorizzare
per iscritto il ricorso ai mezzi di coercizione degli ‘infermi’.
Non solo: questa autorizzazione riveste, nel medesimo tempo, anche la funzione di ‘giustificazione’
medica per tale ricorso. E così il cerchio si chiude.
Quanti giudici, nel secolo scorso, hanno indagato e perseguito i responsabili delle innumerevoli
vittime dei metodi e delle terapie manicomiali, dalla lobotomia alla shock terapia, alla
malarioterapia?
A proposito del potere assoluto di direttori e psichiatri manicomiali, riportiamo qui un’interessante
affermazione di un primario di un SPDC milanese fatta nel 1996 ad una delegazione del Telefono
Viola di Milano, nel corso di un’azione (riuscita) per fare slegare un paziente ininterrottamente
contenuto da 10 giorni:
"...ah no! Quello che lei dice (a proposito della competenza dell'autorità civile e non
sanitaria nell'uso della forza) si riferisce a tutto quello che avviene prima dell'inizio del
T.S.O.: ma dopo, qui, siamo in un reparto ospedaliero, e qui dentro sono io l'unico
responsabile delle scelte terapeutiche.
Di tutto quello che avviene qui dentro non devo rispondere a nessuno!
Tranne che a Dio, naturalmente."
Quel primario, naturalmente contrario allo spirito della 180, esprimeva con mirabile sintesi, ed
apprezzabile sincerità, quale fosse il potere reale del direttore di manicomio (sia pur nel tentativo di
trasferirlo a piè pari in un reparto ospedaliero post riforma).
Solo negli anni 60/70 dello scorso secolo, per merito di un ristretto gruppo di coraggiosi psichiatri,
il ‘tabu’ del manicomio è stato in parte infranto.
La 180 è stata la legge che, in parte, ha riportato la cura psichiatrica della cosiddetta malattia
mentale all’interno degli ospedali generali e sotto il controllo della giustizia.
30 anni fa una grande parte della società civile e dei mezzi di informazione italiani si affiancò a quel
piccolo gruppo di psichiatri innovatori nel denunciare l’inganno psichiatrico dei manicomi.
La 180, però, non ha detto nulla sui manicomi criminali.
Nel 1889 il diritto positivo, che si ispirava alla psichiatria positivista e all’antropologia criminale,
di cui Cesare Lombroso è stato un insigne esponente, attraverso il dispositivo pericolosità sociale-
misure di sicurezza-manicomio criminale aveva cercato di uniformare di sè l’intero nuovo codice
penale italiano. Allora furono i paladini del diritto classico che riuscirono, inorriditi dalla rozzezza
delle teorie giuridiche lombrosiane, a difendere da tale attacco la concezione giuridica classica
europea.
Fu il fascismo a far resuscitare le lugubri teorie giuridiche positiviste e a inserirle nel codice penale
Rocco, sia pur limitate alla legislazione penale riguardante i ‘folli-rei’ (i ‘malati’ di mente che
commettono un reato) e i ‘rei-folli’ (i carcerati che diventano ‘malati’ di mente in carcere).
Tali norme sono in gran parte rimaste indenni dal vento riformatore degli anni ’70.
Ancora oggi il concetto di ‘pericolosità sociale’, brandito con grande leggerezza e superficialità da
una parte della magistratura ed una parte della psichiatria pubblica, mantengono paradossalmente in
vita i manicomi criminali, vetusti reperti archeologici di quella grande follia rappresentata dalla
psichiatria positivista e organicista dell’800. Anche recentemente a noi del Telefono Viola di
Milano è capitato di dover difendere un mite signore di 72 anni ed una tranquilla e giovane signora
peruviana dalle reiterate ‘misure di sicurezza’ che il Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia,
con la complicità della psichiatria pubblica territoriale, ha continuato e, nel caso della signora,
continua a irrogare con sicuro sprezzo del ridicolo: in questi due vicende la ‘pericolosità sociale’
sembra essere diventata un’autonoma entità metafisica e grottesca del tutto disgiunta dai
comportamenti, dai fatti compiuti, dalla vita reale di queste due sfortunate persone.
Tutti a parole sono contro i manicomi criminali e le misure di sicurezza, però la pratica quotidiana
di una parte della psichiatria, avallata da una parte della magistratura, continua a tenere in auge
questo medievale istituto.
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A gennaio la rete televisiva “la7” ha trasmesso lo straordinario monologo di Marco Paolini
“Ausmerzen, Vite indegne di essere vissute”, sulla poco conosciuta storia dello sterminio dei disabili
e dei ‘malati’ di mente sotto il nazismo.
Nel dibattito che ne è seguito è stato giustamente detto che le origini di questo secondo e meno noto
olocausto, così come anche quello più conosciuto della Shoah, hanno origine entrambi in alcune
correnti del pensiero positivista della seconda metà dell’800.
In quegli anni accanto al ‘darwinismo sociale’ (che, trasferendo acriticamente alle società umane la
teoria della selezione naturale tra le specie (la specie più forte scaccia la più debole) ha dato vita a
un movimento che dall’eugenetica è arrivato fino alla Shoah) vi è stata anche la psichiatria
positivista che, teorizzando l’origine ereditaria ed atavica della follia (di cui le deformazioni del
cranio ne sono le stigmate) ha dato vita alla concezione della pericolosità intrinseca ed irrimediabile
del ‘pazzo morale’ e del ’delinquente nato’, che era possibile fronteggiare, in nome della difesa
della società, solo con l’internamento perpetuo nei manicomi e nei manicomi criminali.
Le teorie lombrosiane, purtroppo, hanno avuto una grande influenza sulla psichiatria manicomiale,
ed in parte continuano ad averne sulla legislazione penale relativa ai ‘malati’ nella mente.
Egregi direttori dei giornali della carta stampata, delle reti di informazioni on line, delle reti
televisive, delle reti radiofoniche,
il quadro degli abusi che stanno emergendo faticosamente dai 3 reparti psichiatrici Grossoni di
Niguarda è scandaloso, più degno di un reparto manicomiale che di un reparto ospedaliero di oggi.
Oltre all’uso della contenzione fisica al di fuori dei limiti posti dalle stesse linee guida del DSM di
Niguarda, oltre alle vicende dei 5 ricoverati morti nei tre reparti, (tutte vicende già denunciate alla
magistratura con l’esposto presentato in Procura il 13 dicembre 2010), sono venute alla luce le
vicende di altri 7 ricoverati morti in questi anni.
Due addirittura nel mese di febbraio e di marzo di quest’anno, ovvero quando già da tempo i 3
Grossoni sono sotto l’osservazione dell’opinione pubblica a seguito delle denunce del Telefono
Viola di Milano!
In un ospedale grande, moderno ed efficiente come Niguarda, anche un solo caso di morte in un
reparto di degenza psichiatrica dovrebbe rappresentare, di per sé, un caso di incuria inaccettabile: se
un ricoverato in psichiatria si sente fisicamente male dev’essere, e non sono concepibili eccezioni
di sorta, dev’essere immediatamente trasportato in un reparto di medicina d’urgenza.
Nei 3 Grossoni, invece, negli ultimissimi anni si è innescata una dissennata e funesta escalation dei
decessi: in reparti ospedalieri in cui non si può e non si deve morire, si è passati in 5 anni, e con un
ritmo sempre più accelerato, dagli 0 decessi fino al 2006 a quasi un decesso al mese!
Per colmo del paradosso, il 23 febbraio 2011 l’ineffabile Ufficio Procedimenti Disciplinari
della Dirigenza di Niguarda (UPD) non trova di meglio che irrogare una 2a sanzione di
sospensione di 30 giorni dal lavoro della D.sa Nicoletta Calchi, perchè accusata ingiustamente di
avere ecceduto verbalmente in tre telefonate al reparto Grossoni 2, dove un suo ex paziente era
contenuto illegalmente per un tempo eccezionalmente oltre il limite delle linee guida!
Già nella scorsa estate lo stesso UPD aveva sospeso la D.sa Nicoletta Calchi per 20 giorni
perchè nella sua pagina privata personale di Facebook aveva espresso a pochi suoi amici stretti due
pareri sulla situazione del suo reparto!
Ovvero. in questa straordinaria situazione di abusi nella psichiatria di Niguarda, l’UPD di Niguarda
non trova di meglio che mettere sotto accusa, sospendere e forse pensare di licenziare l’unico
medico che in questi anni con grande coraggio si è battuto apertamente contro quegli abusi, in
difesa dei diritti civili e umani dei pazienti dei 3 reparti psichiatrici Grossoni!
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Egregi direttori dei giornali della carta stampata, delle reti di informazioni on line, delle reti
televisive, delle reti radiofoniche,
lo scorso 13 dicembre 2010 le pagini milanesi di alcune delle testate nazionali più importanti del
paese hanno ignorato completamente la notizia relativa alla morte, in due casi in maniera
agghiacciante, di tre ricoverati ai Grossoni. La denuncia di quelle morti, come anche degli altri 8
casi di gravi abusi contenuti nell’esposto Procura del 13 dicembre, era suffragata da referti e
relazioni cliniche di medici dello stesso Ospedale di Niguarda.
L’eccentricità del sistema manicomio rispetto a tutte le altre istituzioni pubbliche si è retta così a
lungo soprattutto per il silenzio dei mezzi di informazione. Un oblio della pubblica opinione presso
la quale il punto di vista ed il parere degli internati nei manicomi ha contato per moltissimo tempo
meno di zero.
Non vorremmo che in una parte dell’opinione pubblica l’eco della rivolta morale basagliana di
qualche decennio fa si stia affievolendo, assieme all’impegno per la difesa dei diritti umani degli
utenti della psichiatria.
A differenza di 40 fanni fa, quamdo, nella psichiatria manicomiale italiana, una minoranza di
psichiatri umanisti e anticoercitivi si contrapponeva a una larga maggioranza di convinta fede
organicista, oggi quest’ultima, pur avendo cambiato di poco il proprio modo di rapportarsi al
paziente psichiatrico, ha assunto da quella minoranza il lessico: se oggi si vuole capire chi in
psichiatria è rimasto fedele allo spirito della 180, conviene valutarne solo i comportamenti concreti,
ignorandone del tutto le parole.
Milano 21 marzo 2011
Telefono Viola di Milano