giovedì 24 marzo 2011


2a PARTE

DELLA LETTERA APERTA DEL TELEFONO VIOLA DI MILANO

AL DIRETTORE GENERALE DELL’AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA

PASQUALE CANNATELLI

AI RESPONSABILI DELLA SANITA’ DELLA REGIONE LOMBARDIA

LUCIANO BRESCIANI E ROBERTO FORMIGONI

AL PROCURATORE CAPO DI MILANO EDMONDO BRUTI LIBERATI

AI DIRETTORI

DEI GIORNALI, DEI TELEGIORNALI, DELLE AGENZIE DI INFORMAZIONE

(In allegato Intervento scritto dalla D.sa Nicoletta Calchi per il seminario

“Contenzione perché, per chi, fino a quando ...?”)

Egregi Signori

Il 23 novembre 2010, quando abbiamo reso pubblica la 1a parte di questa lettera aperta, ci eravamo

proposti 2 obiettivi:

- presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Milano sui gravissimi abusi

avvenuti nei reparti Grossoni di Niguarda e indicati al termine della 1a parte di

questa lettera aperta;

- concludere questa lettera aperta con una 2a parte, in cui pensavamo di esporvi alcune

proposte.

Questo programma ha dovuto subire più di un cambiamento.

Il grande rilievo dato dai giornali e dalle agenzie di comunicazione alla pubblicazione il 23

novembre 2010 della 1a parte di questa lettera aperta, infatti, ha prodotto un risultato che è poco

definire straordinario.

Altre crepe si sono aperte in quell’impenetrabile e lugubre muro dì omertà che ha coperto in questi

ultimi anni il perpetuarsi indisturbato nei 3 Grossoni di così numerosi e gravissimi abusi sui

ricoverati.

Un secondo gruppo di gravissimi abusi è venuto alla luce ai primi di dicembre.

Anche queste secondo gruppo di vicende è stato aggiunto nell’esposto alla Procura, presentato il

13 dicembre 2010.

Successivamente, nelle ultime settimane, per la terza volta, sono venuti alla luce ulteriori gravissimi

fatti che riguardano altri 7 ricoverati inopinatamente morti negli ultimi 3 anni nei reparti psichiatrici

dei Grossoni.

Due di queste morti sono avvenute addirittura nell’ultimo mese e mezzo, quindi ben oltre le

denunce pubbliche di novembre/dicembre, che hanno attratto una grande attenzione dell’opinione

pubblica sulla situazione dei 3 Grossoni e sul DSM di Niguarda.

La prima di queste due morti, quella del Sig. Marco B. è avvenuta al Grossoni 1, di cui è Primario il

Direttore del DSM Dott. Arcadio Erlicher, alle 2,45 di notte del 3 febbraio 2011.

Quella stessa mattina il Dott. Erlicher interveniva al seminario “Contenzione perché, per chi, fino a

quando ...?”, tenutosi presso la Camera del Lavoro di Milano, in cui dichiarava “l’impossibilità di

abbandonare del tutto quegli strumenti” della contenzione fisica (v. resoconto del seminario

riportato nel sito Forum Salute Mentale).

Gli ultimi 7 casi di morte, di cui diremo più particolareggiatamente nella successiva Premessa n. 5,

fanno parte di un ampliamento dell’esposto alla Procura già presentato il 13 dicembre.

PREMESSA N. 1

OGNUNO DI VOI PUO’ RENDERSI CONTO

DI PERSONA

QUANTA SOFFERENZA FISICA E PSICOLOGICA PROVI

CHI E’ LEGATO MANI E PIEDI AD UN LETTO DI CONTENZIONE

Negli ultimi tempi sul tema dell’abolizione delle contenzioni fisiche nei reparti psichiatrici e nelle

strutture per anziani sono stati organizzati campagne e seminari da parte varie organizzazioni: la

Fondazione Basaglia, l’UNASAM-URASAM, la CGIL Funzione Pubblica, la Campagna Salute

Mentale.

Nei programmi di queste campagne e seminari è possibile leggere dichiarazioni molto ferme:

“La contenzione non è un atto medico, è un’offesa alla dignità della persona che la

subisce ed è sintomo di grave inefficacia e inefficienza dei servizi che la adottano.”

...

“Legare una persona in condizione di sofferenza in un letto di ospedale è un atto

inumano, non degno di un paese civile.”

...

“Proponiamo un confronto aperto e franco improntato ad una riflessione e ad un

percorso propositivo verso una progressiva messa al bando di ogni pratica coercitiva”.

Vogliamo sperare che la pubblicazione nello scorso novembre della 1a parte di questa lettera aperta,

in cui si dichiara che la contenzione fisica è una forma di tortura, possa aver contribuito ad una

maggiore sensibilizzazione sull’argomento.

Ci pare però che, nonostante tutto, permanga ancora una sottovalutazione dell’urgenza di questa

“progressiva messa al bando di ogni pratica coercitiva”.

Ci pare che, quando si dichiara che le ragioni pratiche e organizzative dell’assistenziale sanitaria

impedirebbero una rapida messa al bando della contenzione fisica, in realtà si continui a

sottovalutare la profonda inaccettabilità umana e civile di questo strumento di coercizione fisica dei

ricoverati.

Si continuino a sottovalutare gli effetti sulle persone legate che questo strumento, severamente

vietato da 200 anni nelle carceri, continua a provocare negli ospedali.

Noi crediamo che anche voi, che ognuno di voi, Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani,

Governatore Formigoni, Procuratore Bruti Liberati, direttore di giornale, direttore di telegiornale,

direttore di agenzia di informazione possiate rendervi conto appieno che legare una persona al letto

significhi procurarle una grande, quanto ingiustificabile, sofferenza fisica e psicologica.

La contenzione fisica, infatti, stravolge, tramutandola in tormento insopportabile, una tra le più

consuete ed intime esperienze della vita quotidiana di ognuno di noi: quella di riposare nel proprio

letto.

Ognuno di noi, ogni notte, tutte le notti, passa qualche ora a letto per dormire e riposare.Qualche

volta, quando siamo malati, passiamo anche più giorni a letto.

Ebbene, nessuno di noi, per tutte le sei-otto ore che passa a dormire in un letto, rimane fermo,

immobile, fisso in una sola posizione. A maggior ragione se è costretto a letto per più tempo a causa

da una malattia.

Ognuno di noi mentre dorme si muove continuamente: allunga le gambe, si gira su un lato, si gira

sull’altro, ripiega le gambe, sposta le braccia. Ognuno di noi sente inavvertitamente quando una

posizione comincia a stancare (quando la circolazione sanguigna comincia a ristagnare nelle parti

del nostro corpo a contatto con il materasso) e automaticamente si muove e cambia posizione; ed

in questo movimento inconsapevolmente prova sollievo (il sangue ricomincia a circolare

liberamente).

Ora inviteremmo ognuno di voi a fare un piccolo esperimento, e vi preghiamo di perdonarci se

questo invito potrà sembrarvi un’impertinenza.

Vi invitiamo a chiudere gli occhi e a fare uno sforzo di immaginazione: per un solo istante ognuno

di voi dovrebbe cercare di immedesimarsi nella persona che viene legata al proprio letto.

Cercate di immaginare di vivere, per un solo istante, l’esperienza di una persona molto anziana, non

abbiente, ricoverata in una casa di cura, o di una persona giovane o di qualsiasi altra età che abbia la

sfortuna di essere ricoverata in uno di quei reparti psichiatrici italiani che non praticano il “non

restraint” (no contenzione).

Ecco adesso voi siete sdraiati in un letto di ospedale, uno di quei letti con struttura metallica.

Un infermiere arriva, vi invita a mettervi supini, vi prende le caviglie, le serra con delle fascette di

nailon o di cuoio, e lega le fascette al centro della struttura di fondo del letto: in questo modo i

vostri piedi sono bloccati, potranno fare solo quei limitati movimenti permessi dalle fascette.

Poi, con altre fascette lega ognuno dei vostri polsi alle strutture laterali del letto.

Ecco, ora siete immobili, sdraiati sulla schiena, le braccia allargate, le gambe unite.

Dopo un po’, quando questa posizione comincerebbe a darvi fastidio, sentireste comunque

l’esigenza, il bisogno di cambiare posizione delle braccia, delle gambe, del corpo, ma non ci

riuscireste. In breve tempo il desiderio, la necessità di movimento si accrescerebbero, acuiti dalla

consapevolezza di non poterli soddisfare. Col passare del tempo questo desiderio di movimento

aumenterebbe, fino a diventare un assillo insopportabile, una sofferenza fisica insopportabile. Ed

allora tentereste di forzare le fascette ruotando per quanto possibile gomiti e ginocchia, o

cerchereste di provare un po’ di sollievo cercando di sollevare la testa e parte del tronco e poi

sdraiarvi di nuovo, oppure di ruotare la testa verso destra cercando di sollevare il più possibile la

spalla sinistra e subito dopo fare il contrario, e questo rimarrebbe comunque il movimento più

ampio che riuscireste a fare. E poco per volta col passare delle ore la circolazione rallenterebbe,

comincereste a sentire dapprima qualche formicolio, qualche prurito e poi veri e propri dolori. E

quando sentireste cominciare a dolere la schiena, sognereste ardentemente di potere, anche per un

solo attimo, raggomitolarvi su di voi con braccia e gambe piegate, per cercare di stirare la schiena

dolente.

E tutto questo avverrebbe già nelle primissime ore.

Lascio alla vostra fantasia immaginare quale sarebbe la vostra condizione fisica e psicologica, se

questa immobilità obbligata a cui siete costretti si prolungasse per molte ore, o addirittura per

giorni, oppure, anche se questo potrebbe sembrarvi incredibile, per 442 ore di fila!

Pensate a quali lesioni fisiche andreste incontro per questa forzata immobilità, dal decadimento del

tono muscolare alle piaghe da decubito e così via (ma su queste basta che leggiate cosa dicono le

stesse linee guida del DSM di Niguarda).

Ognuno di voi sa che i medici e i fisioterapisti non si stancano mai di ripetere alle persone anziane

che ‘devono’ assolutamente fare del movimento fisico ogni giorno: il movimento fisico, tiene

lontani gli acciacchi, migliora la qualità del vivere e allunga la vita.

Ebbene provate ad immaginare quale possa essere la qualità della vita di quelle persone anziane che

hanno la grande sfortuna di doversene rimanere quotidianamente sdraiate al proprio letto in una

casa di cura, con le mani e i piedi legati, magari accanto ad altre persone anziane altrettanto legate

nei letti vicini.

Una vita assurda: trasformata in una muta e sofferente attesa di una morte che si avvicina a grandi

passi!

Ed ora ognuno di voi provi ad immaginare, anche, quale umiliazione sarebbe costretta a subire

quella persona ricoverata in un reparto psichiatrico dove si usa ancora contenere i pazienti: questa

persona, oltre che trovarsi legata e sofferente contro la propria volontà al proprio letto di

contenzione, si troverebbe anche esposta alla curiosità morbosa del pubblico di quel reparto: degli

altri degenti, dei propri familiari e amici, dei familiari e amici degli altri degenti.

Eccolo là il pazzo pericoloso legato come un cane!

Anzi no, non come un cane: molto peggio di un cane!

Nel mondo della difesa dei diritti degli animali, nessuna associazione animalista (ma anche

nessuno di noi) tollererebbe che un cane, non solo per 12 ore ma nemmeno per 12 minuti, possa

essere immobilizzato dal suo padrone con delle cinghie che ne fissano le 4 zampe al pavimento.

A maggior ragione noi non dovremmo tollerare che questo possa avvenire per una donna o per un

uomo: tanto più se sono una donna ed un uomo sofferenti, ricoverati in un reparto di ospedale o in

una casa di ricovero.

Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni, direttori di giornale, direttori di

telegiornale, direttori di agenzia di informazione quando e se vi dovesse capitare di dover prendere

delle decisioni o di dovere dare delle informazioni che riguardano la contenzione fisica, fatelo

pensando a cosa significa veramente prendere con la forza una persona sofferente e tenerla legata

mani e piedi ad un letto di contenzione contro la sua volontà.

PREMESSA N. 2

IL “COMITATO EUROPEO PER LA PREVENZIONE DELLA TORTURA E DELLE PENE O

TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI” DEL CONSIGLIO D’EUROPA

E

LA CONFERENZA DELLE REGIONI E PROVINCE AUTONOME

SI ESPRIMONOPER L’ABOLIZIONE

DELLA CONTENZIONE FISICA NEI REPARTI PSICHIATRICI IN ITALIA.

Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome del 29 luglio 2010 ha approvato un

documento dal titolo: “Contenzione fisica in psichiatria: una strategia possibile di prevenzione”.

Il documento, con le 7 raccomandazioni alle regioni che vi sono contenute, nascono da un

intervento del CPT-"The European Commitee for the prevention of torture and inhuman or

degrading treatment or punishment" (“Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle

pene o trattamenti inumani o degradanti”, che è un’emanazione del Consiglio d’Europa) sui reparti

psichiatrici in Italia.

Il documento della Conferenza, tra altre cose, dice:

... è possibile porsi realisticamente l’obiettivo di eliminare la contenzione fisica dalla

pratica psichiatrica solo nell’orizzonte di una prevenzione dei comportamenti violenti

nei luoghi di cura, grazie al potenziamento delle buone pratiche per evitarli o uscirne

rapidamente.

...

La conoscenza delle modalità di risposta ambientale ai comportamenti dei pazienti, a

causa delle difficoltà relazionali attribuibili alle loro patologie, ma anche dei conflitti

in cui sono coinvolti, possono dare accesso ad una comprensione delle reazioni

violente.

...

Un elemento però va segnalato ed è costituito dalle difficoltà aggiuntive che derivano

dalla inappropriatezza di molti ricoveri psichiatrici che rende difficile, a volte al limite

5

dell’impossibilità, la gestione della presa in carico. Uno dei meccanismi più comuni di

inappropriatezza è la traduzione di ogni situazione in cui vengono agiti comportamenti

violenti in una manifestazione psichiatrica. In tal modo si fa della psichiatria, e dei suoi

luoghi di cura, un contenitore aspecifico destinato a separare, accantonare, nascondere

la violenza.

La Conferenza passa poi a citare il capitolo "Misure di contenzione negli Istituti Psichiatrici

per adulti" del rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o

trattamenti inumani o degradanti”, del 16 ottobre 2006.

Nel merito di questo rapporto si dice:

"Il potenziale di abuso e di maltrattamento che l’uso di mezzi di contenzione comporta

resta fonte di particolare preoccupazione per il CPT. Purtroppo sembra che in molti

degli istituti visitati vi sia un eccessivo ricorso ai mezzi di contenzione".

Il documento stila una graduatoria delle modalità da mettere in atto per far fronte alla

violenza del paziente e in essa figurano i mezzi psicologici (interazione verbale e

convinzione) e il trattenere il paziente con le mani per breve tempo. Tutto questo viene

proposto in alternativa alla sedazione chimica e alla contenzione mediante cinghie.

...

Il documento stigmatizza l’uso della contenzione come punizione ... All’obiezione che

è la mancanza di personale che spinge a un aumento del ricorso ai mezzi di contenzione

risponde che è proprio l’applicazione dei metodi meccanici, che voglia essere corretta e

appropriata, a richiedere più personale medico e infermieristico di quanto

abitualmente disponibile. La pratica di far durare la contenzione per un periodo

superiore a quello strettamente necessario è considerata un maltrattamento. Viene

sottolineato come l’esperienza di essere contenuto produca confusione nel paziente.

Quello del CPT è un documento pragmatico, tutt’altro che estremista, se giunge ad

affermare che "come regola generale un paziente dovrebbe essere contenuto solo come

misura di ultima istanza", ed è tuttavia una denuncia chiara e inequivocabile della

contenzione fisica.

...

Il percorso parte dall’esigenza, con un adatta sorveglianza, di ridurre il rischio di

abuso sempre in agguato quando si ha a che fare con prestazioni sanitarie senza il

consenso del paziente. Si qualifica includendo la convinzione che, in ogni caso, la

valutazione non possa essere solo sanitaria trattandosi di una pratica, come ci ricorda

il documento del CPT, con un alto potenziale di degradazione ed umiliazione per il

paziente, in contrasto quindi con il principio del rispetto della dignità umana che

dovrebbe vincolare l’esercizio della medicina. L’argomentazione centrale porta a

considerare la contenzione fisica come un intervento antiterapeutico, che danneggia

il paziente anche quando non ne mette a rischio la integrità fisica, e danneggia la

credibilità della psichiatria come scienza terapeutica. In questa chiave, dando per

scontato che con un di più di formazione, di organizzazione e di sorveglianza si riesca a

evitare la violenza superflua, quella che viene praticata per dare un esempio,

realizzare una punizione, o "prevenire" una violenza attesa, la tesi di questo

documento è che si debba evitare la contenzione fisica in ogni situazione, attraverso

una strategia che prevenga i comportamenti violenti in ambienti di cura.

La Conferenza infine enuncia le. finalità delle proprie Raccomandazioni:

6

Le idee forti su cui fondare (una strategia di prevenzione della contenzione fisica) si

possono esprimere come:

- consapevolezza che la prevenzione dei comportamenti violenti è una condizione per

rendere efficace la cura;

- consapevolezza che la contenzione è un atto anti terapeutico, rende cioè più difficile

la cura piuttosto che facilitarla;

- consapevolezza che rispondere alla violenza con la violenza non paga.

...

Sarebbe del tutto irrealistico ritenere che la contenzione fisica sia esercitata solo dagli

psichiatri. ... Gli ambiti di esercizio in cui andrebbe discusso il problema della

legittimità, utilità e opportunità della contenzione fisica, non sono costituiti solo dagli

ospedali, ma anche dalle case di riposo per anziani, dalle comunità terapeutiche per

tossicodipendenti, dagli istituti di ricovero per soggetti con handicap connessi a

patologie congenite o precocemente acquisite.

...

Si ritiene ... che un miglioramento della pratica assistenziale psichiatrica,

caratterizzato da una rinunzia alla contenzione fisica, sarebbe un forte segnale per

porre attenzione al problema anche negli altri ambiti operativi, sollecitando coloro che

vi operano ad analoghe pratiche di trattamento non restrittivo.

...

Obiettivo finale delle Raccomandazioni è che tutte le Regioni si attivino per introdurre

nell’assistenza psichiatrica le modificazioni (di conoscenze, di atteggiamenti, di risorse,

di gestione, di organizzazione) in grado di portare al valore zero, in modo stabile e

sicuro, il numero delle contenzioni praticate nei Servizi di Salute Mentale.

PREMESSA N. 3

LA SOCIETA’ CIVILE DOVREBBE TORNARE AD INDIGNARSI

CONTRO LA CONTENZIONE FISICA

La larga diffusione della pratica medievale della contenzione fisica ha affievolito la capacità della

società civile di mobilitarsi attivamente per la sua abolizione.

Esattamente come avveniva per gli internati nel manicomio tradizionale, le persone sofferenti legate

ad un letto di ospedale, sono mute, non hanno voce nella nostra società, il loro punto di vista conta

poco o nulla a confronto di quello dei burocrati, degli incapaci e dei nostalgici dei sistemi

manicomiali.

Nel nostro paese, tuttavia, vi sono delle comunità, provenienti da culture diverse dalla nostra, che

hanno mantenuto intatta la capacità di stupirsi e di indignarsi per questa pratica “indegna di un

paese civile”.

A questo proposito vi invitiamo a vedere su Youtube il video “Morte a Bologna in TSO Edhmun

Hiden”, in cui viene filmata l’incredulità, lo stupore, l’indignazione della comunità nigeriana

bolognese per come è morto il loro connazionale, Edhmun Hiden di 34 anni, il 27 maggio 2007,

all’interno del reparto psichiatrico Ottonello dell'Ospedale Maggiore di Bologna.

Edmun si reca volontariamente, consigliato dal suo medico e accompagnato dalla moglie,

all’Ottonello la sera del 26 luglio 2007, perché non si sente bene.

Edmun non sa che alcune sue caratteristiche fisiche hanno un significato particolarissimo all’interno

di un SPDC in cui viene praticata con facilità la contenzione fisica: Edmun è molto alto ed è anche

robusto.

Appena ricoverato Edmun viene legato al letto e sottoposto ad una dose massiccia di neurolettici.

Il pomeriggio successivo viene slegato, ma alla sua richiesta di potere tornare immediatamente a

casa, il medico psichiatra dà ordine di contenerlo di nuovo: a questo punto, di fronte alle sue

proteste per il trattamento che sta subendo, vengono chiamate due pattuglie della polizia a dar man

forte a medici ed infermieri per tenerlo bloccato, fermo.

Mentre 6, 7 o 8 persone lo tengono fermo, Edmun, improvvisamente, si lascia andare e si accascia:

morirà qualche ora dopo, probabilmente per un infarto.

Edmun, sua moglie, tutta la comunità nigeriana di Bologna ignorano (almeno fino a quel 26 luglio),

che il reparto psichiatrico “Ottonello” è sì un reparto ospedaliero, però è completamente diverso da

tutti gli altri reparti dell’Ospedale Maggiore: infatti, mentre in questi ultimi un paziente (che è

anche un libero cittadino, garantito nei suoi diritti dalla costituzione) entra sempre volontariamente

e, se lo chiede, può volontariamente uscire anche con il parere contrario dei medici curanti,

all’Ottonello, invece, un paziente (che ha la mente ‘malata’, quindi è ‘malata’ la sua stessa identità

di persona, quindi è ‘malato’ anche il suo parere e quindi, infine, il suo consenso non può che

essere insignificante) può anche entrare volontariamente, ma non può uscire affatto se il medico

psichiatra non vuole (e non importa se in quel reparto egli vi sia entrato di sua volontà).

Non solo: se questo secondo paziente è anche alto e robusto e, quindi, del tutto involontariamente e

inconsapevolmente incute paura in quel medico che medita di usare la forza per trattenerlo contro la

sua volontà, ebbene, in questo caso, all’Ottonello, come in tutti gli SPDC italiani che non hanno

dimenticato la plurisecolare stagione del manicomio, questo secondo paziente viene circondato,

bloccato, issato di peso al letto, legato con le cinghie e sedato chimicamente. (nella nostra attività

di Telefono Viola mettiamo sempre in guardia quelle persone che si rivolgono a noi ed hanno la

‘sfortuna’ di essere alte e robuste: esse, indipendentemente dalla loro indole, sono ad alto rischio

di TSO, di super sedazione neurolettica, di contenzione fisica, di internamento in manicomio

criminale: ‘grande e grosso’ dalla psichiatria neo-manicomiale viene tradotto sempre con

‘imprevedibile e pericoloso’).

Edmun Hiden si era recato all’Ottonello perché era convinto che là lo avrebbero curato; era

convinto, anche, che se il trattamento sanitario propostogli non gli fosse piaciuto, perché strano,

violento e per lui totalmente incomprensibile, sarebbe stato un suo diritto rifiutarsi, salutare il

medico di guardia con una stretta di mano e tornarsene tranquillamente a casa sua.

Che diamine! Non è forse l’Italia un paese civile dell’Occidente del mondo, in cui vengono

rispettati i diritti dei cittadini, soprattutto se sofferenti!

La morte di Edmun Hiden non è stata affatto una morte naturale.

Edmun Hiden è morto di ‘crepacuore’ di fronte a tanta violenza, prevenuta, insensata, grottesca e

incomprensibile.

Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni, direttori di giornale, direttori di

telegiornale, direttori di agenzia di informazione: noi tutti dovremmo cercare, con umiltà, di

imparare dalla comunità nigeriana di Bologna la capacità di provare una grande indignazione di

fronte alla violenza gratuita e ingiustificata delle contenzioni fisiche in psichiatria.

Così come seppe fare la società civile quando, negli anni 60/70, si mobilitò contro la vergogna dei

manicomi, a fianco di un gruppo di psichiatri innovatori.

PREMESSA N. 4

L’ESPOSTO ALLA PROCURA DI MILANODEL 13 DICEMBRE 2010

Il 13 dicembre, Giorgio Pompa del Telefono Viola di Milano, tre parenti di ricoverati oggetto di

abuso e una ricoverata al Grossoni 2, vittima essa stessa di abuso, hanno consegnato un esposto

alla Procura della Repubblica di Milano.

L’esposto contiene 11 fatti riguardanti i 3 reparti Grossoni e il DSM dell’Ospedale Niguarda: qui di

seguito vengono riportati tutti con la numerazione progressiva presente nell’esposto.

FATTO n. 1

Riguardante la ‘super’ contenzione fisica con il lenzuolo arrotolato

Le linee guida del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale Niguarda per la contenzione

fisica, “La contenzione fisica in ospedale – evidence based guideline”, alla pagina 24, nel paragrafo

“Manovre di contenzione - Procedura”, descrive la seguente procedura di ’fissaggio supino’ del

paziente che è già contenuto al letto con fascette di contenzione ai polsi ed alle caviglie:

“9. Nel caso in cui la crisi dʼagitazione è irrefrenabile, può rendersi necessario fissare il

paziente supino; ora ciò è ottenuto per mezzo di un lenzuolo, opportunamente

arrotolato, che ferma le spalle al piano del letto, legato dietro la testata dello stesso.

Questa deve ritenersi una misura provvisoria, nellʼattesa che la terapia farmacologica

operi la necessaria sedazione.”

Questo tipo di contenzione addizionale di un paziente già contenuto fisicamente (vera e propria

‘super’ contenzione fisica) nel manicomio veniva chiamata “spallaccio”.

Lo “spallaccio” è una procedura che:

- infligge un immediato dolore fisico alla persona legata;

- provoca uno stiramento degli arti superiori, delle spalle, delle ascelle e del collo;

- costringe la persona così fortemente legata in un posizionamento forzato che impedisce del

tutto i movimenti;

- per il forte stiramento e la forte compressione dei muscoli di collo, spalle e ascelle, in poco

tempo sorge il pericolo di lesioni nervose al plesso brachiale distale, con conseguente

paralisi delle braccia;

- obbliga gli altri ricoverati alla costrizione di dover assistere a un trattamento, che non è

sbagliato definire atroce, inflitto ad uno di loro.

La ‘giustificazione’, infine, che lo “spallaccio” sia una ‘misura provvisoria nell’attesa che la

terapia farmacologica operi la necessaria sedazione’ è un’evidente menzogna: è noto, infatti, come

una sedazione per via endovenosa dia i suoi pieni effetti dopo appena 10/15 minuti.

Il trattamento dello “spallaccio” all’interno di un reparto ospedaliero rientra a pieno titolo nei

parametri usati dal Protocollo di Istanbul (Manuale per un’efficace indagine e documentazione di

tortura o altro trattamento o pena crudele, disumani o degradanti”) per definire le seguenti torture:

b) Tortura posizionale, usando sospensione, stiramento degli arti, restrizione

prolungata dei movimenti, posizionamento forzato

u) costrizione ad assistere a tortura o atrocità inflitte ad altri

FATTO n. 2

Riguardante Mohamed M., che al Grossoni 1 perde l’uso delle braccia

Il giorno 11 giugno 2005 Mohamed M. di 39 anni, nato in Marocco, viene ricoverato al Grossoni 1

e dopo qualche settimana viene trasferito a Medicina 2 da dove viene dimesso il 27 luglio 2005.

Nel Portale dei reparti non esiste nessuna documentazione relativa a questo ricovero proveniente

dal reparto psichiatrico Grossoni 1!

Nel Portale dei reparti esiste solo la relazione alla dimissione da Medicina 2, redatta 8 mesi dopo la

dimissione, in data 17 marzo 2006.

In questa relazione si dice che alla dimissione la diagnosi è la seguente:

“... paralisi bilaterale del plesso branchiale, IVU intercorrente in paziente

cateterizzato.”

Sempre nella stessa relazione, nel Motivo del ricovero, si dice:

...

Il paziente viene ricoverato in psichiatria Grassoni 1 e contenuto per imponente

stato di agitazione. Successivamente comparsa di rabdomiolisi imponente (cpk

>22000) per cui viene ricoverato in medicina II dove diviene sempre più evidente

una paralisi flaccida bilaterale degli arti superiori con totale impotenza

funzionale.”

La rabdomiolisi è “la rottura delle fibre muscolari con conseguente rilascio del contenuto di fibra

muscolare (mioglobina) nel flusso sanguigno ... legata a traumi con schiacciamento muscolare.”

Il trattamento che in una persona contenuta porta ad una imponente rabdomiolisi di solito è il

famigerato “spallaccio” prolungato nel tempo.

Quando al Grossoni 1 il Sig. Mohamed M. perde l’uso di entrambe le braccia viene trasferito a

Medicina 2.

FATTO n. 3

Riguardante Rita F. G., che al Grossoni ‘2’ perde l’uso delle gambe

Rita F. il 3 marzo 2006 viene ricoverata al Grossoni 2.

Durante il ricovero la paziente si era dimostrata oppositiva alla terapia del medico curante e

rimaneva a letto con le sponde. Per i suoi tentativi di scavalcare le sponde è stata legata a letto,

ed è rimasta in contenzione per un molto tempo, anche se quando veniva trovarla il marito

veniva sempre scontenuta.

La povera Sig.ra Rita, verso fine maggio si aggrava e la mattina del 7 giugno in gravissime

condizioni viene trasportata in tutta fretta al reparto di terapia cardiologica di urgenza UCIC.

Dopo qualche giorno viene trasferita a Medicina 2, dove cercano di curarle le piaghe da decubito.

La lunga contenzione al Grossoni ‘2’ aveva provocato:

- piaghe da decubito,

- infezione delle vie urinarie da enterococco,

- trombosi venosa profonda arto inferiore dx

- tromboembolia polmonare

La Sig.ra Rita viene dimessa da Niguarda 2 il 31 luglio 2006.

La Sig.ra Rita da allora è costretta ad usare la sedia a rotelle!

Nel portale dei reparti di Niguarda è sparita tutta la documentazione del lungo ricovero al Grossoni,

mentre invece esiste la relazione alla dimissione di Medicina 2.

Nel 2007 il marito della Sig.ra Rita F., Sig. Giovanni G., aveva inviato un esposto sull’accaduto

all’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, senza ricevere nessuna risposta.

FATTO n. 4

Riguardante Francesco D. morto al Grossoni ‘3’ il 1° ottobre 2008

Il 26 settembre 2008 Francesco D., già paziente psichiatrico, per dispnea viene ricoverato in

MURG – Medicina di urgenza.

(Per dispnea si intende un tipo di respirazione faticosa, che viene avvertita soggettivamente come

"fame/bisogno d'aria" ed inadeguatezza del respiro, e che comporta l'aumento dello sforzo per

respirare, con la conseguenza di un impegno muscolare non spontaneo per compiere inspirazioni

ed espirazioni.)

Il Sig. Francesco è una persona affetta da obesità severa ed è anche un accanito fumatore.

Il medico della MURG, fortemente irritato per l’impossibilità di fargli smettere di fumare cerca di

farlo trasferire al Grossoni 3, ma la D.sa Calchi, in quel momento medico di guardia di psichiatria,

si oppone sapendo che nei reparti di psichiatria per impedire ad un paziente di fumare lo si lega al

letto e che per un paziente in quelle condizioni di grave difficoltà respiratoria la contenzione fisica

potrebbe essere letale, e mette per iscritto le sue considerazioni contrarie al trasferimento.

Dopo qualche ora lo psichiatra di guardia che sostituisce la D.sa Calchi accetta la richiesta di

trasferimento del paziente al Grossoni 3, formulata di nuovo dal reparto MURG.

In data 1° ottobre, dopo 5 giorni di ricovero al Grossoni 3, il Sig. D. veniva rinvenuto morto nel suo

letto: “veniva rinvenuto in una condizione di arresto del circolo; sottoposto inutilmente alle cure

rianimatorie, veniva dichiarato deceduto.”

Dalla relazione alla dimissione: “Anche nel nostro reparto il pz non seguiva la prescrizione di non

fumare”.

Nel referto anatomopatologico, stilato in data 21 ottobre 2008 dal Dott. Mario Camozzi del servizio

di Anatomia Patologica dell’Ospedale Niguarda, come causa del decesso si legge:

“Insufficienza respiratoria in soggetto affetto da obesità severa.”

FATTO n. 5

Riguardante Tullio C. morto al Grossoni ‘3’ il 24 ottobre 2010

Tullio C., di 42 anni, viene ricoverato al Grossoni 3 un imprecisato giorno di ottobre del 2010.

Nel Portale dei reparti non esiste alcuna documentazione riferita al suo ricovero!

Esistono solo:

- il referto di Anatomia Patologica n. S2010-001040 del reparto di Anatomia di Niguarda, che

indica la visita necroscopica fatta il 24 ottobre 2010 sul cadavere di Tullio C. firmato dal

Dott. Ernesto Marziano Minola,

- le analisi del sangue e delle urine fatte dal Laboratorio di analisi Chimico-Cliniche Patologia

Clinica di Niguarda il 21 ottobre 2010.

Da queste analisi risulta che Tullio C., appena 3 giorni prima di morire stava bene.

Da queste analisi e dal referto di Anatomia Patologica risulta che Tullio C., era ricoverato al

Grossoni 3 (primario Leo Nahon).

Alcuni operatori dei Grossoni e del DSM hanno detto che Tullio C. era stato legato al suo letto alle

11 di mattina e che, 14 ore dopo, alle 2 di notte è stato trovato morto nel suo letto di contenzione.

FATTO n. 6

Riguardante Marinella S. contenuta al Grossoni ‘2’ per 18 giorni e 6 ore consecutivi

La Sig.ra Marinella S. rimane ricoverata al Grossoni 2 dal giorno 4 ottobre 2009 al 16 giugno 2006.

La Sig.ra Marinella S. è una paziente della D.sa Calchi.

Il Dott Mariano Bassi, Primario del Grossoni 2, all’inizio di quest’anno assegna la Sig.ra Marinella

S. ad un altro medico curante.

Con il nuovo psichiatra la Sig.ra Marinella S. viene legata al suo letto di contenzione per 438 ore

consecutive!

Pari a 18 giorni e 6 ore!

Pari ad oltre 36 volte la durata massima della contenzione fisica consigliata dai protocolli!

Nel registro delle contenzioni del Grossoni 2 sono riportate le centinaia di firme del controllo della

lunghissima contenzione.

FATTO n. 7

Riguardante Andrea R. contenuto al Grossoni ‘2’ per 14 giorni consecutivi

7.1 - Ricovero di Andrea R. al Grossoni 2 (primario Dott. Mariano Bassi)

Il Sig. Andrea R. fino a luglio era un paziente della D.sa Calchi.

A luglio. dopo la sospensione della D.sa Calchi, il Dott Mariano Bassi, Primario del Grossoni 2,

‘gira’ il Sig. Andrea R. ad un altro psichiatra della sua equipe.

Nei mesi scorsi il Sig. Andrea R. ricoverato al Grossoni 2, viene immobilizzato da 8 infermieri

all'interno del reparto, trascinato lungo tutto il corridoio, davanti agli altri degenti fortemente

impressionati e spaventati, e quindi legato al suo letto di contenzione, dove rimane per 14 giorni

consecutivi!

Pari a oltre 330 ore!

Pari ad oltre 28 volte la durata massima della contenzione fisica consigliata dai protocolli!

Durante questa interminabile contenzione fisica al Il Sig. Andrea R. venivano praticate ben 9

iniezioni giornaliere di 3 psicofarmaci (tre iniezioni al giorno per ogni psicofarmaco)!

FATTO n. 8

Riguardante Maria Teresa D. contenuta al Grossoni ‘2’ perché a pranzo chiede il sale

Maria Teresa D. fino a luglio 2010 era una paziente della D.sa Calchi.

Un giorno del mese di maggio del 2009 Maria Teresa D. ricoverata al Grossoni 2. All'ora di pranzo

mentre è seduta ad uno dei tavoli della mensa osa chiedere del sale. Uno dei due infermieri presenti

si rifiuta in malo modo di portarle del sale. Alla risposta risentita di Maria Teresa i due infermieri le

balzano addosso per afferrarla. Alla D.sa Calchi, che sta entrando in reparto proprio in quel

momento e che chiede spiegazioni, i due infermieri rispondono che la paziente è stata molto

insolente a trattarli come domestici e loro, pertanto, stavano per contenerla. La D.sa Calchi

stigmatizza il comportamento dei due infermieri e fa accompagnare Maria Teresa nella sua stanza.

Uscendo, quindi, dal reparto per la pausa pranzo, intima ai due infermieri di lasciare in pace la

ragazza. Al suo rientro in reparto trova Maria Teresa D. contenuta polsi e caviglie al suo letto. La

D.sa Calchi ordina l'immediatamente di slegarla.

FATTO n. 9

Riguardante Filippo S. morto al Grossoni ‘2’ il 17 marzo 2009

Il 17 marzo 2009, il Sig. Filippo S. di 63 anni, ricoverato al reparto Grossoni 2 solo per la fase di

preparazione all’intervento chirurgico di rimozione di una protesi metallica al ginocchio destro,

muore soffocato dal cibo che sta mangiando!

Dalla perizia necroscopica della D.sa Cristina Campidelli:

- Causa del decesso: “Insufficienza respiratoria in polmonite ab ingestis”.

- Dalla Diagnosi Anatomopatologica: “Ostruzione completa della via aerea da ingesti

parzialmente digeriti. ....”.

Al portale dei reparti, come spesso è successo in questi casi, non esiste alcuna documentazione del

Grossoni 2 riguardante il ricovero del Sig. Filippo S.

Per ricostruire la vicenda, pertanto, è stato necessario affidarsi alla documentazione degli altri

reparti dell’Ospedale Niguarda e alle parole scritte dai loro medici nei vari referti.

Filippo S. era affetto da disfagia iatrogena.

La disfagia è la perdita del controllo dei muscoli della deglutizione.

La disfagia iatrogena è il prevedibile effetto collaterale di terapie neurolettiche eccessive.

In tutti i reparti ospedalieri sanno che per questi pazienti occorre fare molta attenzione quando

mangiano: per evitare il blocco della deglutizione è consigliabile imboccarli con piccoli bocconi.

A maggior ragione in un reparto psichiatrico dovrebbero prestare attenzione a questi pazienti, che si

sono ammalati di disfagia a causa delle intense terapie di neurolettici a cui sono stati sottoposti,

spesso senza nemmeno il loro esplicito consenso.

FATTO n. 10

Riguardante Maria Graziella B. morta al Grossoni ‘3’ il 13 gennaio 2010

Il 13 gennaio 2010 la Sig. ra Maria Graziella B. di 71 anni, ricoverata al reparto Grossoni 3, muore

soffocata dal cibo che sta mangiando!

Dalla perizia necroscopica del Dott. Ernesto Graziano Minola:

- Causa del decesso: “Insufficienza respiratoria in polmonite ab ingestis” ed in ostruzione

della via aerea da residuo alimentare.

- Dalla Diagnosi Anatomopatologica: “Ostruzione completa della via aerea (faringo-laringea)

da residuo alimentare vegetale”.

Al portale dei reparti non esiste alcuna documentazione del Grossoni 3 riguardante il ricovero della

Sig.ra Maria Graziella B.

Sono presenti, invece, i referti di Anatomia, gli esami e le analisi del Laboratorio di Analisi

Chimico-Cliniche Patologia Clinica, gli esami di Microbiologia e Virologia.

Anche l’atroce morte della Sig. ra Maria Graziella B. è dovuta alla disfagia iatrogena ed al suo

abbandono all’ora di pranzo , come il Sig. Filippo S. morto meno di un anno prima.

FATTO n. 11

Riguardante Antonio R. morto al Grossoni ‘3’ il 18 settembre 2007

Il giorno 18 settembre 2007, il sig. Antonio R. di 75 anni, ricoverato al reparto Grossoni 3,

improvvisamente, muore.

Dalla relazione alla dimissione della D.sa Antonella Boriotti del Grossoni 3:

- il pz è deceduto in data odierna, improvvisamente.

Dai referti delle analisi e dagli esami del Laboratorio di Analisi Chimico-Cliniche, della Struttura

complessa di Microbiologia e Virologia, della Struttura complessa di Cardiologia 4, dell’Unità

operativa di Radiologia, effettuati nei giorni antecedenti il decesso, non si comprende affatto quale

possa essere stata la causa dell’improvvisa morte del Sig. Antonio R.

Subito dopo esponiamo gli altri 7 casi di cui siamo venuti a conoscenza solo dopo la presentazione

dell’esposto: sono tutti relativi alla morte di pazienti ricoverati ai Grossoni.

PREMESSA N. 5

I 7 NUOVI CASI DI MORTE DI PAZIENTI RICOVERATI

NEI REPARTI GROSSONI DELL’OSPEDALE DI NIGUARDA

I seguenti sette casi di pazienti morti al Grossoni fanno parte di un ampliamento dell’esposto alla

Procura di Milano presentato il 13 dicembre 2010. La loro numerazione, pertanto, continua a partire

dal n. 12.

FATTO n. 12

Riguardante la morte della Sig.ra Giovanna Angela P.

Il giorno 28 agosto 2008 la Sig.ra Giovanna Angela P., di 62 anni viene ricoverata al Grossoni 3.

La mattina del 22 settembre 2008 la Sig.ra P. viene trovata morta sul pavimento accanto al letto.

Si pongono i seguenti interrogativi:

- A che ora, presumibilmente della notte, è morta la Sig.ra P.?

- Chi era il medico psichiatra di guardia la notte del 22 settembre 2008?

- Chi erano gli infermieri presenti nel reparto la notte del 22 settembre 2008?

- La Sig.ra P., quando ha cominciato a sentirsi male aveva suonato il campanello?

- La Sig.ra P., quando, nel pieno dell’attacco di cuore, ha deciso di scendere dal letto era in

cerca di aiuto?

- Come mai il primario del Grossoni 3, Dott. Leo Nahon, non ha scritto nessuna relazione, né

ha proposto alcun provvedimento in merito alla morte della Sig.ra P. nel suo reparto?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, la morte della Sig.ra P. è stata semplicemente archiviata e dimenticata?

Fatto n. 13

Riguardante la morte del Sig. Dario D. G.

Il Sig. Dario D. G., di 63 anni, dal 4 novembre 2008 al 1° dicembre 2008 viene ricoverato al

Grossoni 2 per una grave forma di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) con episodi

dispnoici (di dispnea) e di insufficienza respiratoria acuta.

Successivamente, il Sig. D. G. dal 9 dicembre 2008 al 30 dicembre 2008 viene di nuovo ricoverato

al Grossoni 2 sempre per episodi dispnoici e di insufficienza respiratoria acuta.

Il Sig. D. G. il 1° gennaio 2009 viene di nuovo ricoverato al Grossoni 2.

Alle 2.15 della notte del 9 gennaio 2009 il Sig. Dario D. G. muore.

Nel portale dei reparti di Niguarda esiste la documentazione di quest’ultimo ricovero al Grossoni 2-.

Si pongono i seguenti interrogativi:

- Di cosa è morto il Sig. Dario D. G. alle 2.15 della notte del 9 gennaio 2009?

- E’ morto soffocato per Insufficienza respiratoria acuta?

- Il Sig. Dario D. G. quando la notte del 9 gennaio 2009 ha cominciato a sentire che gli

mancava il respiro ha cercato aiuto?

- Il Sig. Dario D. G. ha suonato il campanello?

- Perché il Sig. Dario D. G. quando ha cominciato a sentire che gli mancava il respiro non ha

cercato di alzarsi per recarsi al locale infermieri?

- Il Sig. Dario D. G. era forse contenuto fisicamente?

- Perché nel Portale dei Reparti manca la parte della documentazione relativa al suo ultimo

ricovero, conclusosi con il suo decesso?

14

- Chi erano gli infermieri presenti in reparto quella notte?

- Chi era il medico psichiatra di guardia?

- Come mai il primario del Grossoni 2, Dott. Mariano Bassi, non ha scritto nessuna relazione,

né ha proposto alcun provvedimento in merito allla morte del Sig. Dario D. G. nel suo

reparto?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, la morte del Sig. Dario D. G. è stata semplicemente archiviata e dimenticata?

FATTO n. 14

Riguardante il suicidio del Sig. Giancarlo C.

Il Sig. Giancarlo C., di 38 anni, all’inizio del dicembre 2009 era ricoverato al Grossoni 1.

Alle 15,30 del 3 dicembre 2009, dopo meno di un’ora dall’uscita dal reparto in permesso il Sig.

Giancarlo C. si è gettato sotto un treno della linea gialla della metropolitana.

Il Sig. Giancarlo C., gravemente ferito, muore alle 3,38 del giorno dopo, 4 dicembre 2009, nella

sala operatoria dell’Ospedale Niguarda.

Si pongono i seguenti interrogativi:

- Chi era il medico di guardia che ha firmato il permessso al Sig. Giancarlo C.?

- E’ vero che la mattina aveva espresso ad un infermiere del reparto la sua intenzione di

suicidarsi?

- Se questo è vero perchè il medico presente in reparto ha firmato il permesso di uscita senza

prevedere l’accompagnamento del paziente, come d’obbligo in questi casi?

- E’ vero che successivamente il permesso di uscita è stato tramutato in Dimissione dal

reparto?

- Come mai il primario del Grossoni 1, Dott. Arcadio Erlicher, non ha scritto nessuna

relazione, né ha proposto alcun provvedimento in merito al suicidio del Sig. C.?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, la morte Sig. Giancarlo C. è stata semplicemente archiviata e dimenticata?

FATTO n. 15

Riguardante il suicidio di un signore dello Sri Lanka

Nei primi giorni dell’aprile 2010 un signore cingalese dello Sri Lanka, di circa 30 anni, è ricoverato

al Grossoni 1.

Il giorno 5 aprile 2010, alle 23.15 si impicca all’interno del reparto.

Nel Portale dei reparti non esiste nessuna documentazione relativa a questo ricovero.

La salma del suicida non è mai passata nella camera mortuaria dell’Ospedale Niguarda.

Si pongono i seguenti interrogativi:

- Chi era lo psichiatra di guardia al Grossoni 1 il 5 aprile 2010?

- Chi erano gli infermieri presenti nel reparto Grossoni 1 il 5 aprile 2010?

- E’ vero che il paziente aveva minacciato il suicidio in caso di dimissioni da reparto?

- E’ vero che successivamente a questa dichiarazione un medico del reparto aveva firmato la

dimissione per il giorno successivo?

- Come è possibile che nel Portale dei Reparti si possa far sparire l’intera documentazione del

ricovero di un paziente suicida impiccato all’interno del reparto Grossoni 1?

- Come è possibile che si possa far allontanare dall’Ospedale di Niguarda, senza passare nella

camera mortuaria dell’Ospedale, la salma di un ricoverato suicida nel reparto Grossoni 1?

15

- Cosa ha da dire il primario del Grossoni 1, nonché Direttore del Dipartimento di Salute

Mentale di Niguarda, Dott. Arcadio Erlicher, su questo suicidio avvenuto nel suo reparto?

- Cosa ha da dire il primario del Grossoni 1, nonché Direttore del Dipartimento di Salute

Mentale di Niguarda, Dott. Arcadio Erlicher, sulle anomalie relative al trasporto della

salma?

- Come mai il primario del Grossoni 1, Dott. Arcadio Erlicher, non ha scritto nessuna

relazione, né ha proposto alcun provvedimento in merito a questo suicidio avvenuto nel suo

reparto?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, il suicidio del Signore cingalese è stato semplicemente archiviato e dimenticato?

FATTO n. 16

Riguardante la morte del Sig. Giorgio V.

Il Sig. Giorgio V., di 61 anni, proveniente dall’Ospedale San Gerardo entra in Pronto Soccorso alle

ore 0.28 del 3 agosto 2010.

Nel “Verbale di pronto soccorso”, redatto dalla D.sa Laura Ciceri della struttura complessa di

Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso alle ore 1.28 del 3 agosto 2010, alla voce “Motivo

dell’accesso e dati anamnestici”, si legge:

“Pz inviato dall’osp. di Monza per mancanza di posti letto per un ricovero in

ambiente psichiatrico in seguito a aggravarsi della condizione depressiva con

stupore catatonico di possibile causa depressiva, questa forma iniziata con la

diagnosi la cura di un K polmonare bilaterale in cura sperimentale.”

Il giorno dopo, 4 agosto 2010, il Sig. V. muore nel reparto Grossoni 3, come viene scritto nella

“visita necroscopica” effettuata sempre il 4 agosto 2010 dalla D.sa Campidelli della struttura

complessa di Anatomia Istologia Patologica e Citogenetica. Non viene specificata l’ora del decesso.

Si pongono i seguenti interrogativi:

- Perché nel Portale dei Reparti manca la documentazione del ricovero del Sig. V. al Grossoni

3?

- A che ora è morto il Sig. Giorgio V.?

- Di che cosa è morto il Sig. Giorgio V.?

- Chi era lo psichiatra presente o di guardia al Grossoni 3 al momento della morte del Sig.

Giorgio V.?

- Chi erano gli infermieri presenti nel reparto Grossoni 3 al momento della morte del Sig.

Giorgio V.?

- Quella del Sig. V. era davvero una “catatonia” da curare in “ambiente psichiatrico”, o

piuttosto un effetto collaterale della “cura sperimentale” del cancro ai polmoni da curare in

medicina d’urgenza?

- Come mai il primario del Grossoni 3, Dott. Leo Nahon, non ha scritto nessuna relazione, né

ha proposto alcun provvedimento in merito alla morte del Sig. Giorgio V. nel suo reparto?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, la morte del Sig. Giorgio V. è stata semplicemente archiviata e dimenticata?

FATTO n. 17

Riguardante la morte del Sig. Marco B. il 3 febbraio 2011


Quasi 5 anni fa, il 13 aprile 2006, il Sig. Marco B. esegue una ecocardiografia transtoracica presso

la struttura complessa di Cardiologia 5 – Territoriale per una “Valutazione di eventuale danno

miocardio da antipsicotici.”

In un giorno imprecisato tra il 25 e il 30 di gennaio, come si evince dal referto dell’analisi sulla

Creatina Chinasi del Laboratorio di Analisi Chimico-cliniche Patologia Clinica stilato del 30

gennaio 2011, il Sig. Marco B. viene ricoverato al reparto psichiatrico Grossoni 1.

La notte del 3 febbraio 2011, alle ore 2.45 il Sig. Marco B. muore al reparto Grossoni 1.

Nel Portale dei Reparti non si trova la documentazione del Grossoni 1 relativa a questo ricovero del

Sig. Marco B..

Il Sig. Marco B. è un paziente soprappeso seguito dal DSM di NIguarda e nel 2006 sorge il dubbio

che le terapie antipsicotiche a cui viene sottoposto possano danneggiare il suo cuore.

Viene da chiedersi: gli psichiatri del DSM, che da allora fino alla sua morte hanno avuto in cura il

Sig. Marco B., cosa hanno fatto per ridurre il rischio di danno al cuore del loro paziente?

Ecco la risposta: qui di seguito sono riportati i coctail di psicofarmaci (indicati nei “Verbali di

pronto soccorso” da luglio 2009 a gennaio 2011 e nella “Relazione alla dimissione” del 30

novembre 2010) che Il Sig. Marco B. assume ogni giorno nei suoi ultimi 7 mesi di vita.

24 luglio 2010 :


Clozapina 300

Depakin 500

Lendormin 0,25

Tavor 2ʼ5 mg


10 ottobre 2010:


Leponex 100 mg

Depakin 500

Lendormin

Entumin

Statim EN


fino al 17 novembre 2010:

Depakin 500

Clozapina 100 mg

Haldol 20 gtt sera

Tavor 2,5 mg sera

Entumin 1 cpr sera


Durante il ricovero del 17 novembre fino al 30 novembre 2010

Depakin

Clozapina

Serenase

Invega

Farganesse

Talofen


25 gennaio 2011


Clozapina 100 mg

Depakin 500

Entumin 30 gtt sera

Lorazepam 2,5

Lendormin 1 cp

I neurolettici (scritti in neretto) passano da 1 nella terapia di luglio, a 2 in quella di ottobre, a 3 in

quella del 17 novembre, addirittura a ben 4 neurolettici contemporaneamente nella terapia

durante il ricovero al Grossoni 1 tra il 17 e il 30 novembre!, per ritornare a 2 a meno di 10 giorni

dalla morte.

La Clozapina, neurolettico notoriamente cardiotossico e mielotossico, è quasi sempre presente!

Il Sig. Marco B. poche settimane prima di morire è stato sottoposto a terapie neurolettiche non da

protocollo farmacologico!

Si pongono i seguenti interrogativi:

- Di che cosa è morto il Sig. Marco B. alle 2.45 della notte del 3 febbraio 2011?

- E’ morto di infarto?

- Il Sig. Marco B. quando quella notte ha cominciato a sentirsi male ha cercato aiuto?

- Il Sig. Marco B. ha suonato il campanello?

- Chi erano gli infermieri presenti in reparto quella notte?

- Chi era il medico psichiatra di guardia?

- Perché nel Portale dei Reparti manca la parte della documentazione relativa al suo ultimo

ricovero, conclusosi con il suo decesso?

- Come mai il primario del Grossoni 1, Dott. Arcadio Erlicher, non ha scritto nessuna

relazione, né ha proposto alcun provvedimento in merito alla morte del Sig. Marco B. nel

suo reparto?

- Chi controlla nel Dipartimento di Salute Mentale quelle terapie farmacologiche che non

osservano i protocolli farmacologici?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, la morte del Sig. Marco B. è stata semplicemente archiviata e dimenticata?

FATTO n. 18

Riguardante il suicidio del Sig. Orlando Salvatore A. il 10 marzo 2011

Nel settembre 2010, a seguito di un tentativo di suicidio, il Sig. Orlando Salvatore A., di 29 anni,

viene ricoverato per un mese al Grossoni 2.

Domenica 6 marzo 2011, dopo un secondo tentativo di suicidio, viene di nuovo ricoverato al

Grossoni 2.

Mercoledì 10 marzo il medico presente in reparto impedisce al fratello di entrare in reparto per

visitare il paziente.

Giovedì 10 marzo, alle 18.30, il Sig. Orlando Salvatore A. si suicida, impiccandosi nel bagno del

reparto con i lacci delle sue scarpe.

La salma del suicida non è mai passata nella camera mortuaria dell’Ospedale Niguarda.

La famiglia è intenzionata a presentare una denuncia contro il Grossoni 2 per negligenza e per non

avere impedito il suicidio del Sig. Orlando.

Noi non sappiamo come sia potuto avvenire questo suicidio all’interno del Grossoni.

Sappiamo, però, che, a differenza degli SPDC in cui vige un rapporto umano di accoglienza e di

comprensione dei pazienti da parte degli operatori, in quelli adusi alle contenzioni quando viene

ricoverata una persona che ha da poco tentato il suicidio, di solito viene sottoposta alla linea dura e

coercitiva delle contenzioni chimica e fisica; se poi in questi SPDC si dovesse slegare il paziente,

ad esempio per la cena, di norma lo si controlla a vista e comunque non gli si lasciano mai le scarpe

sotto il letto complete di lacci. Soprattutto in un DSM in cui già un paziente si è impiccato in

reparto meno di 1 anno prima!

Si pongono i seguenti interrogativi:

- Perché le scarpe con i lacci sono state lasciate sotto il letto del Sig. A.?

- Il Sig. A. è stato contenuto fino a poco prima del suicidio?

- Se il Sig. A. è stato contenuto e poi slegato perché non è stato sorvegliato a vista?

- Chi era il medico psichiatra presente nel reparto al momento del suicidio?

- Chi erano gli infermieri?

- Come è possibile che si possa far allontanare dall’Ospedale di Niguarda, senza passare nella

camera mortuaria dell’Ospedale, la salma di un ricoverato suicida nel reparto Grossoni 1?

- Come mai il primario del Grossoni 1, Dott. Mariano Bassi, non ha scritto nessuna relazione,

né ha proposto alcun provvedimento in merito al suicidio del Sig. A. nel suo reparto?

- E’ stato predisposto un ‘audit’ di valutazione del rischio clinico?

- O, forse, il suicidio del Sig. A. verrà semplicemente archiviato e dimenticato?

QUAL’E’ LA SITUAZIONE ESISTENTE

AI 3 REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI

DELL’AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA?

Egregi Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

non saremo certo noi a sottovalutare l’importanza ed il ruolo che l’Ospedale di Niguarda ricopre

nella città di Milano e nella regione Lombardia.

Inaugurato all’inizio della 2a guerra mondiale, l’Ospedale di Niguarda ha interpretato l’evoluzione

moderna della tradizione ospedaliera milanese, iniziata nella metà del ‘400 con lo sforzesco

"Spedale di Poveri" di via Festa del Perdono, ribattezzato “Ca’ Granda” dal linguaggio popolare.

In questi 70 anni di vita alcuni dei laboratori e dei reparti che sono stati aperti al Niguarda sono

stati anche i primi ad essere aperti in Italia: essi, insieme ad altri reparti, hanno via via

rappresentato e rappresentano, nel panorama ospedaliero italiano ed europeo, un riconosciuto

livello di ‘eccellenza’, per usare un termine oggi molto in voga.

In questo momento, poi, l’Ospedale di Niguarda è nel pieno di una ambiziosa ristrutturazione, di

cui tutti Voi, immaginiamo siete orgogliosi.

Anche nel 1978 l’Ospedale di Niguarda è stato anche il primo ospedale in Italia ad aprire un

Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (i due reparti Origgi ed il reparto Vergani), secondo

quanto previsto dall’appena approvata legge 180.

Come voi sapete, il 1978 è stato un anno fatidico per l’assistenza psichiatrica italiana; la legge 180 è

stato un tentativo di voltare decisamente pagina rispetto alla barbarie del manicomio; essa è stata

approvata al culmine di un vasto movimento sociale, politico e scientifico contro il disumano ed

inaccettabile regime degli internamenti manicomiali.

Tra i due ruoli in cui si è dibattuta la psichiatria manicomiale, quello custodialistico-punitivo e

quello terapeutico-sanitario, la legge 180 ha privilegiato nettamente il secondo: non più corpi

alienati della mente, privati dei diritti civili, da internare con sbrigative e sommarie procedure in

manicomio, bensì cittadini ‘malati’, sia pure nella mente, con diritto ad essere curati al pari di tutti

gli altri cittadini.

Non più reietti della società da seppellire per sempre dentro le impenetrabili mura manicomiali, ma

cittadini sofferenti da aiutare a ‘guarire’ e reinserirsi di nuovo nella società.

Anche nel campo della cosiddetta ‘malattia’ mentale, così come avviene nel resto della medicina, i

trattamenti sanitari coercitivi del manicomio avrebbero dovuto cedere il passo a trattamenti sanitari

condivisi e volontari.

E, anche se la nuova legge ha ritenuto di mantenere attiva la modalità di trattamenti sanitari

obbligatori, questi ultimi, a differenza dei famigerati ricoveri coatti nei manicomi, sarebbero stati

previsti solo in un ridotto numero di casi, ovvero solo al concorrere contemporaneo di circostanze

eccezionali.

E, in ogni caso, quand’anche fossero stati attivati, la procedura dei nuovi T.S.O., avrebbe previsto

una serie di regole a tutela del rispetto della dignità e dei diritti umani dei ‘pazienti’ ricoverati.

Tra la galera e l’ospedale la 180 sceglie, decisamente, l’ospedale. E, insieme a quest’ultimo, sceglie

soprattutto un’assistenza psichiatrica di tipo sociale, articolata e diffusa nel territorio.

Qualcuno è arrivato a definire questa legge una “rivoluzione copernicana”.

E all’Ospedale Niguarda come è avvenuta questa cosiddetta ‘rivoluzione copernicana’?

Qual è stata la realtà dei novelli SPDC dell’Ospedale Niguarda?

Per quanto riguarda i due padiglioni Origgi la risposta a questa domanda è molto semplice:

pessima, la realtà degli Origgi è stata pessima.

"Quel reparto e' un lager.

Accuse al servizio psichiatria di Niguarda: locali pessimi, personale scarso".

Con questo titolo Il 28 gennaio 1992 appare sul Corriere della Sera un articolo sui due Origgi scritto

dal giornalista Edoardo Stucchi.

I due reparti del padiglione Origgi viengono descritti come “spogli e fatiscenti ... con inferriate alle

finestre, dove l' assistenza infermieristica e' spesso ridotta a zero.” Si riferisce anche di “un ragazzo

di 26 anni, oligofrenico, che da tre anni e mezzo vive legato al letto della sua camera singola (da

42 mesi!!! da oltre 1270 giorni!!! e non sappiamo nemmeno quando (e se) sia stato slegato).”

19

Nell’articolo la responsabilità di tale situazione viene, semplicisticamente, addebitata, oltre che al

mancato coordinamento delle due USSL di competenza dei due reparti e alla mancanza di

personale, anche alla vetustà dell’edificio: “La direzione dell' ospedale ... precisa che se le strutture

non cambiano è anche perchè Niguarda attende da settembre l’autorizzazione del Comune a

costruire il nuovo padiglione di psichiatria per il quale ha gia' avuto 9 miliardi dalla Regione.”

E qual’è (anzi, visto il recente trasferimento dei reparti Grossoni, qual è stata) la situazione dei tre

SPDC del nuovo padiglione Grossoni?

A distanza di 16 anni dalla sua realizzazione, nonostante si tratti di un edificio recente senza inferriate

alle finestre (ma con “le finestre chiuse ermeticamente” come nei “treni moderni”, recitano

orgogliose le linee guida sulla contenzione fisica del DSM di Niguarda) nonostante il personale sia

sufficiente, ebbene noi crediamo che la risposta non possa che essere la stessa: pessima.

Negli ultimi anni la situazione dei reparti è andata via via peggiorando, e va facendosi ogni mese che

passa sempre più insostenibile.

LA SITUAZIONE DEI 3 GROSSONI

HA SUPERATO OGNI LIMITE DI TOLLERABILITA’

Anche se ci limitassimo al solo nudo elenco delle gravissime vicende di abusi avvenuti negli ultimi

anni nei reparti psichiatrici dell’Ospedale Niguarda, il quadro che ne risulta è francamente

impressionante:

Francesco D. morto al Grossoni ʻ3ʼ il 1° ottobre 2008, probabilmente mentre era legato mani e piedi

al suo letto di contenzione

Tullio C. morto al Grossoni ʻ3ʼ il 24 ottobre 2010, secondo voci di operatori mentre era legato mani e

piedi al suo letto di contenzione

Filippo S. morto al Grossoni ʻ2ʼ il 17 marzo 2009 soffocato dal cibo che stava mangiando

Maria Graziella B. morta al Grossoni ʻ3ʼ il 13 gennaio 2010 soffocata dal cibo che stava mangiando

Antonio R. morto ʻimprovvisamenteʼ al Grossoni ʻ3ʼ il 18 settembre 2007

Giovanna Angela P. trovata morta accasciata di fianco al letto al Grossoni ʻ3ʼ il 22 settembre 2008

Dario D. morto ʻimprovvisamenteʼ al Grossoni ʻ2ʼ il 9 gennaio 2009

Giancarlo C. morto suicida appena uscito in permesso dal Grossoni ʻ1ʼ il 4 dicembre 2009

Un signore cingalese morto suicida, impiccato al Grossoni ʻ1ʼ il 5 aprile 2010

Giorgio V. morto ʻimprovvisamenteʼ al Grossoni ʻ3ʼ il 4 agosto 2010

Marco B. morto ʻimprovvisamenteʼ al Grossoni ʻ1ʼ il 3 febbraio 2011

Orlando Salvatore A. morto suicida, impiccato al Grossoni ʻ2ʼ qualche giorno fa, il 10 marzo 2011

Mohamed M. ha perso lʼuso delle braccia dopo il ricovero al Grossoni 1

Rita F. G. ha perso lʼuso delle gambe dopo il ricovero al Grossoni 2

Marinella S. è stata legata mani e piedi al letto al Grossoni ʻ2ʼ per oltre 18 giorni consecutivi

Andrea R. è stato legato mani e piedi al letto al Grossoni ʻ2ʼ per 14 giorni consecutivi

Maria Teresa D. è stata legata mani e piedi al letto al Grossoni ʻ2ʼ perché a pranzo

aveva chiesto del sale

Le linee guida del DSM prevedono esplicitamente lʼillegale ʻsuperʼ contenzione fisica

del manicomiale ʻspallaccioʼ

e infine ‘last but not least’, per ultimo ma non ultimo

LʼUfficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda si appresta a licenziare la

Dsa. Nicoletta Calchi.

Egregi Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

converrete con noi che la situazione che si è creata nei 3 Grossoni, così come emerge da questo

incredibile elenco, è davvero di grande emergenza.

In un ospedale grande, moderno ed efficiente come Niguarda, anche un solo caso di morte in un

reparto di degenza psichiatrica rappresenterebbe di per se stesso un caso di incuria inaccettabile: se

un ricoverato in psichiatria si sente fisicamente male dev’essere, e non sono concepibili eccezioni

di sorta, dev’essere immediatamente trasportato in un reparto di medicina d’urgenza.

Da quanto siamo riusciti a sapere faticosamente finora, nei 3 Grossoni sono morte ben 12 persone

ricoverate dal 2007 ad oggi!

Il ritmo crescente e ormai incontenibile di questi decessi è il seguente:

nessun morto fino al 2006

1 morto nel 2007

2 morti nel 2008

3 morti nel 2009

4 morti nel 2010

2 morti in poco più di due mesi del 2011!

Solo negli ultimi due anni e tre mesi sono morte 10 persone ricoverate!

Già la sola aritmetica di queste cifre rivela che la situazione creatasi nei Grossoni negli ultimi anni

non solo è diventata molto grave, ma esige che vengano presi urgenti provvedimenti.

La sola aritmetica, tuttavia, non dà la piena conoscenza della gravità della situazione nei 3 reparti

psichiatrici di Niguarda.

Per quanto riguarda l’inaccetabile morte di ricoverati, nei tre reparti Grossoni:

- morire è un accadimento che sta diventando, ogni mese che passa, sempre più

scandalosamente facile, nonostante vi siano ricoverate soltanto persone ‘malate’ nella

mente;

- in alcuni casi il modo in cui si muore al Grossoni è semplicemente raccapricciante ed

offende profondamente i principi della dignità umana ed i diritti più elementari dei

ricoverati negli ospedali: la morte per soffocamento da cibo di Filippo S. e Maria Graziella

B. è l’inaccettabile conseguenza dell’abbandono di persone gravemente malate

fisicamente a causa degli effetti collaterali di errate terapie neurolettiche;

- una paziente dei Grossoni ci ha raccontato che una volta è stata ricoverata per qualche

giorno all’SPDC del San Carlo e durante la notte suonò il campanello del letto e si

meravigliò non poco quando, dopo qualche minuto, vide apparire un’infermiera che le

chiese di cosa aveva bisogno: nei ricoveri ai Grossoni si era abituata alla completa inutilità

di quel gesto, al fatto che di notte non arriva nessuno quando si suona il campanello: nei

Grossoni, alcune delle persone ricoverate sono morte ‘improvvisamente’ nel cuore della

notte: avevano, forse, chiamato invano l’infermiere di turno?

- ben 3 pazienti ricoverati hanno scelto di morire suicidi: i loro gesti estremi sono un atto di

accusa incancellabile contro le modalità di trattamento delle persone ricoverate in uso nei

reparti; nello stesso periodo altri pazienti del DSM si sono suicidati nelle loro abitazioni o

nelle comunità: ma i nomi di questi ultimi e le loro storie difficilmente potranno bucare la

pesante coltre di silenzio che copre questa occulta e quasi del tutto la sconosciuta emergenza

nazionale costituita dai numerosissimi pazienti psichiatrici che scelgono di suicidarsi, perché

non riescono a sopportare le invivibili condizioni di vita a cui sono costretti dalle terapie

coercitive di una larga parte della psichiatria italiana.

Per quanto riguarda la contenzione fisica dei ricoverati, nei tre reparti Grossoni:

- la contenzione fisica è una pratica diffusa: i 3 Grossoni sono tra gli SPDC milanesi che più

praticano questa forma di coercizione;

- le motivazioni reali per legare un ricoverato mani e piedi ad un letto di contenzione sono a

volte inaccettabili, configurandosi come atto di punizione o addirittura come obliquo atto di

ritorsione nei confronti di colleghi;

- la contenzione fisica qualche volta supera di numerose volte la durata massima

raccomandata dalle linee guida internazionali e dalle stesse linee guida del DSM di

Niguarda, trasformandosi in una forma di inaccettabile tortura;

- la contenzione fisica qualche volta causa lesioni gravissime e invalidità permanenti nel

corpo delle persone legate;

- le linee guida del DSM di Niguarda prevedono esplicitamente la pericolosa e inaccettabile

‘super’ contenzione fisica del lenzuolo arrotolato, chiamata ‘spallaccio’ nei manicomi, in

aperto contrasto con le linee guida internazionali, con le esplicite indicazioni del “Comitato

europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti”,

con le Raccomandazioni della Conferenza delle Regioni;

Nei tre reparti Grossoni, infine:

- la libera scelta del medico curante viene spesso negata: il caso dei 112 pazienti della D.sa

Calchi è emblematico;

- il rapporto fiduciario medico-paziente è latitante: come dimostrano anche i 3 casi di suicidio

tra i ricoverati;

- il consenso informato non è pratica diffusa;

- le terapie farmacologiche a base di psicofarmaci ‘neurolettici’ (ovvero ‘neuroplegici’, ossia

‘neuroparalizzanti’) a volte prevedono dosi così massicce da far insorgere gravissimi e

prevedibili effetti collaterali come la disfagia; tali terapie, non di rado imposte

obbligatoriamente, pur avendo lo scopo di curare le ‘malattie’ della mente dei pazienti,

spesso risultano altamente tossiche ed invalidanti per il loro fisico; tali terapie, invece di

essere concordate ed accettate dal paziente, rappresentano spesso una costrittiva contenzione

chimica.

- il diritto costituzionale (ma soprattutto umano) a trattamenti sanitari volontari viene irriso

dal ricorso spesso improprio, ingiustificato e grottesco al Trattamento Sanitario

Obbligatorio; emblematico il caso denunciato dalla D.sa Calchi nel suo intervento scritto al

seminario “Contenzione perché, per chi, fino a quando ...?”: al Grossoni 2 è stato richiesto

e messo in atto un T.S.O. ad una paziente affetta da una gravissima patologia

neoplastica in atto al solo scopo di portarle via i suoi cani dal suo appartamento!

- vige un clima di paura tra i ricoverati “nei confronti della reazione degli operatori a pensieri

parole comportamenti” che li inducono “a smussare le loro posizioni e ad adeguarle ai

meccanismi di accompagnamento“, come ha dichiarato Virgilio Baccalini, del Forum Salute

Mentale, al seminario “Contenzione perché, per chi, fino a quando ...?”;

- i medici e gli infermieri che hanno cercato coraggiosamente di opporsi alla grave situazione

creatasi nei Grossoni negli ultimi anni, sono stati via via emarginati, sottoposti a mobbing,

trasferiti, sospesi per volontà delle attuali direzioni dei Grossoni e del DSM.

PER CONOSCERE LA REALTA’ DEI GROSSONI

NON OCCORRE ATTENDERE LE CONCLUSIONI DELLA MAGISTRATURA


Egregi Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

Non occorre attendere che la magistratura completi il suo compito, per sapere se le notizie di molti

dei gravissimi abusi dei Grossoni presenti nella denunce del Telefono Viola di Milano siano vere o

siano false.

Non occorre attendere che la magistratura completi il suo compito, perché chi è responsabile

dell’Ospedale Niguarda, della sanità lombarda e della politica regionale lombarda possa conoscere

rapidamente la situazione effettiva dei Grossoni, possa, quindi, esprimersi e prendere le dovute ed

urgenti decisioni nel merito.

Non occorre attendere la magistratura per conoscere come è morto Filippo S.: basterebbe leggere la

perizia necroscopica effettuate dalla D.sa Cristina Campidelli della struttura complessa di Anatomia

Istologia Patologica e Citogenetica del 28 maggio 2009. Questa lettura è più che sufficiente a far

comprendere che la causa della sua morte atroce è dovuta alla disfagia (che è un prevedibile effetto

collaterale di terapie neurolettiche errate ed eccessive) e al suo inaccettabile abbandono durante il

pasto da parte degli infermieri di reparto.

Non occorre attendere la magistratura per conoscere come è morta Maria Graziella B.: basterebbe

leggere la perizia necroscopica effettuata dal Dott. Ernesto Graziano Minola della struttura

complessa di Anatomia Istologia Patologica e Citogenetica del 21 settembre 2010. Questa lettura è

più che sufficiente a far comprendere che la causa della sua morte atroce è dovuta alla disfagia e al

suo inaccettabile abbandono durante il pasto da parte degli infermieri di reparto.

Non è necessario attendere la magistratura per considerare del tutto inammissibile l’anomalia di

dover morire ricoverati ai Grossoni, che è un reparto psichiatrico, e non nei reparti di terapia

d’urgenza, dove hanno anche la capacità professionale di intervenire tempestivamente per evitare

una morte prematura.

Non è necessario attendere la magistratura per considerare del tutto inaudito che tre pazienti

ricoverati si suicidino, due impiccandosi all’interno dei reparti e il terzo dopo essere uscito in

permesso.

Non occorre è necessario attendere la magistratura per considerare totalmente inaccettabile una

terapia che prescrive contemporaneamente 4 diversi neurolettici al giorno ad un paziente

cardiopatico.

Non è necessario attendere la magistratura per sapere che il Sig. Mohamed M ha perso l’uso di

entrambe le braccia dopo un ricovero al Grossoni 1, basta leggere la relazione alla dimissione del

Dott. Antonio Maria Agrati della struttura complessa di Medicina ‘2’ del 17 marzo 2006.

Non è necessario attendere la magistratura per sapere che la Sig. Rita F. G. ha perso l’uso di

entrambe le gambe dopo un ricovero al Grossoni 2, basta leggere la relazione alla dimissione della

D.sa Silvana Puricelli della struttura complessa di Medicina ‘1’ del 29 luglio 2006.

Non è necessario attendere la magistratura per sapere che due pazienti ricoverati al Grossoni 2 sono

rimasti legati al loro letto di contenzione per 28 volte e per 36 volte la durata massima della

contenzione fisica prevista dalle stesse linee guida di Niguarda e che si tratta di due ex pazienti

della Dsa. Calchi, contro la quale il primario e i colleghi sono in rotta di collisione: basterebbe

chiederlo ai due pazienti e ai loro familiari.

Non è necessario attendere la magistratura per sapere che nei Grossoni i pazienti hanno paura degli

operatori: basterebbe chiederlo a Virgilio Baccalini, del Forum Salute Mentale.

Non è necessario essere del Telefono Viola di Milano per considerare inaccettabile, anzi una vera e

propria paradossale enormità, che in un rinomato ospedale milanese, l’eccellente Ospedale

Niguarda, possano esistere dei reparti di degenza dove i pazienti siano costretti a vivere

costantemente con la paura nei confronti degli operatori ‘sanitari’ del reparto.

Non è necessario attendere la magistratura per considerare del tutto inaccettabili quella parte delle

linee guida sulla contenzione dell’Ospedale di Niguarda, in cui, senza alcun ritegno, si raccomanda

l’uso della ‘super’ contenzione del manicomiale ‘spallaccio’: basterebbe leggere le linee guida

internazionali, le indicazioni del “Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o

trattamenti inumani o degradanti” e le raccomandazioni della Conferenza delle Regioni.

Non è necessario attendere la magistratura per considerare del tutto anomala e straordinaria la teoria

dei decessi sempre più ravvicinati che negli ultimissimi anni syanno colpendo i ricoverati nei

Grossoni.

Non è necessario attendere la magistratura per considerare fin da ora molto gravi, in merito ai fatti

esposti, le responsabilità di coloro che negli ultimissimi anni hanno diretto il DSM e i Grossoni di

Niguarda.

Non occorre essere del Telefono Viola, infine, per considerare scandalosi, grotteschi e assurdi i due

provvedimenti di sospensione comminati dall’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di

Niguarda alla D.sa Nicoletta Calchi, ovvero all’unica psichiatra che ha avuto il coraggio di opporsi

allo stile ed al metodo di lavoro che si è imposto in questi ultimissimi anni sia al Grossoni 2 che

negli altri due.

IL TELEFONO VIOLA DI MILANO CHIEDE

IL COMMISSARIAMENTO URGENTE

DELLA DIREZIONE DEL DSM E DEI 3 GROSSONI

Egregi Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

vi confessiamo che più di qualcuno, in questi mesi, ci ha messo in guardia: ci ha predetto che la

nostra denuncia si sarebbe risolta in nulla, come una bolla di sapone.

Più di qualcuno, in questi mesi, ci ha avvertito che avremmo avuto contro dei poteri molto forti,

molto influenti, capaci di ridurre, attenuare e dissolvere l’impatto della nostra denuncia.

Qualcun altro ci ha avvertito che una specie di potente e inamovibile blocco avrebbe costretto a

rimanere fermi e silenziosi gli operatori dell’assistenza psichiatrica milanese: che essi se ne

sarebbero rimasti immobili e passivi, come dietro una finestra, a vedere come andrà a finire

questa denuncia in difesa dei diritti umani dei ricoverati nei Grossoni, senza minimamente esporsi

o esprimere pubblicamente le loro opinioni.

Qualcun altro ci ha tacciato di estremismo, incapaci di incidere o modificare la grave situazione

creatasi nel DSM di Niguarda.

In verità vi confidiamo che non sappiamo affatto se siano fondati o meno i primi due

avvertimenti.

Su una cosa, invece, siamo sicuri: non siamo estremisti.

Se proprio si vuol definire lo spirito con cui di solito ci accingiamo a difendere i diritti delle

persone sottoposte ad abusi psichiatrici, allora preferiamo essere definiti radicali: nel senso

letterale di questa parola, di chi vuole andare alla radice delle storie umane che incontra.

Ed anche rigorosamente pragmatici: ci interessa soprattutto fare in modo che i diritti umani delle

persone abusate siano realmente salvaguardati.

Egregi Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

noi crediamo che i fatti che stanno accadendo ai Grossoni siano molto scandalosi.

Noi crediamo che quanto stia accadendo ai Grossoni sia persino più grave di quanto è accaduto

qualche anno fa alla Clinica Santa Rita.

Noi crediamo che Mohamed M., Rita F. G., Francesco D., Tullio C., Filippo S., Maria Graziella B.,

Antonio R., Giovanna Angela P., Dario D., Giancarlo C., il Signore Cingalese, Giorgio V.,

Marinella S., Andrea R:, Maria Teresa D., Marco B., Orlando Salvatore A., siano state delle

persone molto sfortunate. Delle persone che si sono trovate ricoverate in reparti ospedalieri

sbagliati, in reparti ospedalieri in cui i loro diritti di pazienti non sono stati tutelati, in cui molti di

loro sono morti in piena solitudine.

Noi crediamo, e siamo convinti che lo crediate anche voi, che si debba rispettare la memoria di

coloro che sono morti, rispettare il dolore dei loro cari.

Noi crediamo che occorra dare un segnale di certezza e rassicurazione a tutti i ricoverati del

Grossoni, ai pazienti del DSM, ai loro familiari, all’opinione pubblica.

Noi crediamo che occorra dire a tutti loro che ai 3 Grossoni si volterà decisamente pagina.

Alcuni di voi sono dichiaratamente persone cattoliche.

Pensiamo, allora, che ci capirete se riteniamo che la Milano che ha accolto i grandi arcivescovi del

dopoguerra, la Milano dei cardinali Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Montini, Giovanni

Colombo, Carlo Maria Martini, la Milano del cardinale Dionigi Tettamanzi, che questa Milano,

solidale e sempre vicina agli ultimi, non possa permettere che sui ricoverati dei Grossoni che hanno

subito gravissimi abusi, sui ricoverati dei Grossoni che sono costretti a vivere il loro ricovero in un

clima di paura, su tutte queste donne e questi uomini sofferenti, sulle loro sofferenze, possa calare

di nuovo il sipario oltraggioso del silenzio.

Forse quegli avvertimenti sulla supposta opposizione di paventati poteri forti, di poteri presunti

onnipotenti, potrebbero anche risultare infondati.

Vogliamo pensare, citando un prete lombardo di Desio, che anche i potenti, talvolta, possano

lasciarsi sorprendere dall’eccellenza della verità:

“Così l’unico entusiasmo che si può provare nella vita è quello di aver ragione o di

fare quello che si vuole; non certo la sorpresa per quello che accade, per la realtà che

parla alla persona [per l’emergenza di una novità che ti provoca]. Lo spiega

lucidamente san Tommaso d’Aquino laddove, nella Summa theologica afferma che “i

superbi, mentre si dilettano della propria eccellenza [cioè di aver ragione o di sentir

giusto], hanno fastidio dell’eccellenza della verità”.

(“Nella profondità delle cose”, appunti da una conversazione di don Luigi Giussani)

Noi vi chiediamo di fare una scelta decisa che si proponga di riportare al più presto la situazione dei

Grossoni ad livello accettabile per un reparto ospedaliero.

Noi pensiamo che questa decisione debba essere urgente e indifferibile e che debba significare un

deciso cambiamento di rotta nella gestione del DSM e dei Grossoni di Niguarda.

Innanzitutto per cercare di bloccare questa dissennata e funesta escalation dei decessi: in reparti

ospedalieri in cui non si può e non si deve morire, si è passati in 5 anni e con un ritmo sempre più

accelerato dagli 0 decessi fino al 2006 a quasi un decesso al mese!

Noi pensiamo che questa decisione debba essere urgente e indifferibile anche per un doveroso senso

di umano rispetto nei confronti di queste vittime e del dolore dei loro familiari.

Per un doveroso impegno di rispondere alle preoccupazioni di tutti gli altri pazienti ricoverati e dei

loro familiari.

Ci sembra necessario, infine, che voi dobbiate dare un segnale forte e inequivocabile all’opinione

pubblica in merito alla vostra posizione ed alle vostre responsabilità su quanto avviene nei 3

Grossoni: che la direzione dell’Ospedale di Niguarda, l’Assessore alla Sanità e il Governatore della

Regione Lombardia separano nettamente le responsabilità dell’Ospedale Niguarda da quelle del

Direttore del DSM e dei Primari dei Grossoni.

E’ per tutto questo che noi vi chiediamo di commissariare con urgenza le direzioni del DSM e

dei Grossoni di Niguarda.

L’UFFICIO PROCEDIMENTI DISCIPLINARI DELLA DIRIGENZA DI NIGUARDA

NON PUO’ RIDURSI A IMPROVVIDO PORTAVOCE

DEL DIRETTORE DEL DSM E DEL PRIMARIO DEL GROSSONI 2

Egregi Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

noi ci chiediamo: in questi ultimi anni, in questi ultimi mesi, quando, ad un ritmo sempre più

incalzante, si sono susseguiti gravi fatti di abusi nei Grossoni, quali procedimenti ha avviato

l’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Leo Nahon, primario del

Grossoni 3, per aver mancato di vigilare e quindi prevenire che 7 persone ricoverate morissero nel

reparto da lui diretto?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Mariano Bassi, primario del

Grossoni 2, per aver mancato di vigilare e quindi prevenire che 2 persone ricoverate morissero nel

reparto da lui diretto?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Mariano Bassi, primario del

Grossoni 2, per avere tollerato, senza prendere alcun provvedimento, che un ricoverato si suicidasse

nel suo reparto

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Arcadio Erlicher, primario del

Grossoni 1, per avere tollerato, senza prendere alcun provvedimento, che 2 ricoverati nel suo

reparto si suicidassero in seguito al trattamento sprezzante e ostile tenuto nei loro confronti in

reparto?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Arcadio Erlicher, primario del

Grossoni 1, per aver mancato di vigilare e quindi prevenire che una 3a persona ricoverata morisse

nel reparto da lui diretto?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Mariano Bassi, primario del

Grossoni 2, per avere tollerato, senza prendere alcun provvedimento, che il Sig. Filippo S. affetto da

disfagia iatrogena venisse abbandonato al momento del pasto?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Leo Nahon, primario del

Grossoni 3, per avere tollerato, senza prendere alcun provvedimento, che la Sig.ra Maria Graziella

B. . affetta da disfagia iatrogena venisse abbandonata al momento del pasto, appena 10 mesi dopo

l’analoga morte del Sig. Filippo S.?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Mariano Bassi, primario del

Grossoni 2, per avere tollerato che nel suo reparto si legassero due ricoverati mani e piedi ad un

letto di contenzione per un tempo straordinariamente eccessivo?

Ha forse avviato un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Mariano Bassi, primario del

Grossoni 2, per avere impedito, contro la loro volontà, a molti pazienti della D.sa Nicoletta Calchi

di continuare a seguire le sue terapie?

No. Niente di tutto questo.

L’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda non ha avviato alcun procedimento

disciplinare in merito a questi gravissimi fatti.

E però, l’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda, ha avviato e portato a

termine ben due procedimenti disciplinari consecutivi contro la D.sa Nicoletta Calchi, irrogando

due “sanzioni disciplinari della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione” di 20 e

30 giorni rispettivamente. La seconda sospensione è stata decisa appena tre settimane fa.

Non solo. Ci giungono voci che lo zelante e solerte ufficio stia avviando un terzo e definitivo

procedimento disciplinare: in modo da arrivare, finalmente, al definitivo licenziamento

dall’Ospedale di Niguarda dell’eretica D.sa Nicoletta Calchi.

Fantastico! Assolutamente fantastico!

L’intero universo italiano che gravita attorno all’assistenza psichiatrica, le organizzazioni sociali

che si battono per il rispetto dei diritti umani nelle strutture sanitarie italiane, le organizzazioni

sociali che si battono per il ritorno ai principi di difesa della dignità umana che furono del

movimento di de-istituzionalizzazione dei manicomi, gli operatori degli SPDC italiani del Club

“No-restraint porte aperte”, la commissione di inchiesta del Senato sul Servizio Sanitario

Nazionale, i ricoverati al Grossoni con i loro familiari, gli utenti del DSM di Niguarda con i loro

familiari, gli operatori socio assistenziali della psichiatria territoriale lombarda, una parte del mondo

dei media, ebbene tutti costoro da alcuni mesi, in seguito alle denunce sui gravissimi abusi avvenuti

nei confronti dei pazienti ricoverati nei 3 reparti psichiatrici Grossoni, stanno seguendo con molta

attenzione tutto quanto sta avvenendo all’Ospedale di Niguarda.

Ebbene, sotto l’osservazione di così numerosi occhi e riflettori, cosa fa l’ineffabile UPD della

Dirigenza di Niguarda?

L’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda mette sotto accusa, sospende e

pensa di licenziare l’unico medico che in questi anni con grande coraggio si è battuto apertamente

contro quegli abusi, in difesa dei diritti civili e umani dei pazienti dei 3 reparti psichiatrici Grossoni!

L’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda mette sotto accusa, sospende e

pensa di licenziare il medico che da molti mesi, a causa di questa sua coraggiosa battaglia, sta

subendo una feroce azione di isolamento e di mobbing prima, ed una violenta campagna di

delegittimazione dopo, da parte del primario e dei colleghi del reparto Grossoni 2!

Grottesco! Beffardamente grottesco!

E con quali gravissime accuse l’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda

pensa di sradicare definitivamente la scomoda e coraggiosa esperienza terapeutica della D.sa

Nicoletta Calchi?

Forse per avere causato l’invalidità perenne degli arti ad un paziente per una contenzione

prolungata?

Forse per avere causato la morte per insufficienza respiratoria di un paziente obeso e affetto da

dispnea, ordinandone inopinatamente la contenzione fisica?

Forse per avere dato l’ordine di legare mani e piedi al letto un paziente per 2 o 3 settimane di

seguito?

Forse per avere gravemente sottovalutato le condizioni di una paziente affetta da forte cardiopatia,

al punto che è stata rinvenuta morta accasciata sul pavimento, a fianco del letto?

Forse per avere esagerato con la somministrazione di neurolettici ad un paziente al punto da

invalidare per sempre la sua capacità di deglutire il cibo?

Forse per avere imposto ad un paziente una dissennata terapia a base di 3 o 4 neurolettici

contemporaneamente, e poi questo paziente è morto ‘improvvisamente’ in reparto alle 6 del

mattino?

Forse per avere irriso le norme del TSO prescrivendone uno ad una paziente affetta da una

gravissima patologia neoplastica in atto al solo scopo di portarle dal suo appartamento via i suoi

cani?

Forse per essersi rivolta nei confronti di un paziente con arroganza e disprezzo delle sue paure, e

qualche ora dopo questo paziente si è impiccato in reparto?

No. Niente di tutto questo.

L’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda ha sospeso la D.sa Nicoletta Calchi

per 20 giorni perchè nella sua pagina privata personale di Facebook aveva espresso a pochi suoi

amici stretti due pareri sulla situazione del suo reparto!

L’Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda ha sospeso la D.sa Nicoletta Calchi

una seconda volta per 30 giorni perchè accusata ingiustamente di avere ecceduto verbalmente in tre

telefonate al reparto, fatte entrambe perchè un suo paziente era contenuto illegalmente per un tempo

eccezionalmente oltre il limite delle linee guida!

Surreale! Completamente surreale!

Ma non basta.

Nella riunione dell’UPD del 23 febbraio 2010 nel corso della quale è stata decisa questa 2a sanzione

erano presenti due soli componenti: il Dott. Gaetano Elli, neo Direttore Medico di Presidio e la D.sa

Simona Giroldi, Direttore della Struttura Complessa Risorse Umane. Entrambi sottoscriveranno il

relativo verbale.

Ne verbale si precisa:

- che il Dott. Roberto Cosentina (precedente Direttore Medico di Presidio) è decaduto

dalla funzione di componente dell'Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza

poiché non è più alle dipendenze dell'Azienda Ospedaliera Niguarda dal 31.01.2011;

- iI ruolo di componente dell'UPD di quest’ultimo è ricoperto dal Dott. Gaetano Elli

assunto presso questa Azienda Ospedaliera dal 15.02.2011 (ovvero: è arrivato

all’Ospedale di Niguarda da appena 8 giorni quando si svolge la riunione!) in qualità di

Direttore Medico di Presidio;

- che la d.ssa Silvia Carabellese (Direttore Amministrativo di Presidio) non è al momento

presente in servizio per motivi personali e pertanto non può sottoscrivere il presente

verbale;

Dei 3 componenti del collegio disciplinare dell’UPD di Niguarda, che avevano avviato il

procedimento, che lo avevano istruito, che avevano partecipato alle udienze, che avevano incontrato

e sentito le parti ed i loro avvocati, di coloro, quindi, che erano edotti di tutti gli aspetti analizzati

durante il procedimento, solo uno, la D.sa Simona Giroldi, è presente alla riunione del 23 febbraio e

ne sottoscrive il verbale.

Constatato che l’altro componente presente, il Dott. Gaetano Elli, non aveva partecipato a nessuna

udienza precedente, non aveva mai sentito né mai visto sia la D.sa Calchi che il suo avvocato, si

presume che non avesse mai visto né sentito nemmeno le altre parti in causa, se ne può dedurre che

quando ha sottoscritto le 7 pagine del verbale della riunione del 23 febbraio egli si sia affidato, più

che altro, al parere ed al convincimento espressi dalla D.sa Simona Giroldi.

In ultima analisi, quindi, potremmo affermare che l’esito del 2° procedimento disciplinare intentato

contro la D.sa Calchi sia stato deciso dalla sola D.sa Simona Giroldi!

Perbacco! Sicuramente questo procedimento disciplinare dell’UPD di Niguarda è stato concluso dal

più strano collegio disciplinare che si sia mai visto all’interno di un grande ospedale italiano!

Un collegio che, nella fase di istruttoria è ‘trino’ e poi, nella riunione finale che decide sull’esito-

sentenza, diventa improvvisamente ‘uno’!

Il primo collegio disciplinare monocratico nella storia europea dei conflitti aziendali!

Potremmo proporre di modificare l’ultima frase dell’esito-sentenza:

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“In conclusione, dai criteri sopra indicati, si ritiene appropriata alla condotta

esaminata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione

della retribuzione per n. 30 (trenta) giorni.”

in luogo della locuzione si ritiene appropriata forse sarebbe più esatto dire la D.sa Simona Giroldi

ritiene appropriata.

Ma non basta.

Nello stucchevole resoconto del verbale, fra opinioni del tutto personali su cui si regge la

convinzione che la D.sa Calchi menta a proposito del tenore delle due telefonate in reparto, spicca

una frase in cui appare la particolarissima concezione che la D.sa Simona Giroldi ha del concetto di

‘privacy dei pazienti’:

In relazione alle telefonate oggetto di questa procedura, la presenza di persone che

hanno ascoltato il contenuto delle stesse non è ritenuta conforme al dovere che incombe

sul medico di osservare il segreto professionale, visto che i presenti alle telefonate sono

venuti a conoscenza dei nomi di persone ricoverate in Psichiatria ed in particolare di

una presumibilmente intenzionata ad avviare azioni legali contro medici di

Niguarda; si ritiene, quindi, che in queste circostanze la d.ssa Bellotti Calchi Novati

abbia violato la privacy dei pazienti.

Orbene:

- l’unico paziente di cui si è fatto il nome è solo quello di Andrea R., già paziente della D.sa

Calchi, nel momento della telefonata illegalmente mantenuto legato mani e piedi al letto di

contenzione da numerosi giorni;

- tra i presenti alle tre telefonate vi era la sorella di Andrea fortemente angosciata per il

crudele trattamento riservato al fratello;

- molti tra i presenti avevano chiesto alla D.sa Calchi di intervenire per fare cessare la tortura

inflitta ad Andrea R.;

- tutti i presenti, quindi, sapevano benissimo che Andrea R. era ricoverato al Grossoni 2 e non

l’avevano certo appreso ascoltando le tre telefonate!

Di quale privacy sta parlando la ‘candida’ D.sa Simona Giroldi, di quella del paziente che da 5

giorni è legato illegalmente mani e piedi al letto di contenzione o di quelle dello psichiatra e

dell’infermiere di guardia in un reparto ospedaliero in cui da 5 giorni si sta legando illegalmente

mani e piedi al letto di contenzione quello stesso paziente?

Infine permetteteci un’ultima notazione su questo ‘ineffabile’ verbale dell'Ufficio Procedimenti

Disciplinari della Dirigenza di Niguarda. L’esponente del Telefono Viola di Milano presente

alla telefonata viene così definito:

si tratta, pertanto, non di un soggetto disinteressato alle vicende lavorative della

d.ssa Bellotti Calchi Novati ma di persona che ha verosimilmente utilizzato questa

conoscenza per diffamare la Direzione Aziendale ed il DSM

Su questa frase facciamo alcune riflessioni.

Non sono solo gli esponenti del telefono Viola di Milano gli interessati alle vicende lavorative

della d.ssa Bellotti Calchi Novati, bensì tutti coloro che, in Italia, hanno a cuore i diritti umani

dei pazienti psichiatrici e stanno seguendo le straordinarie vicende dei 3 Grossoni di Niguarda.

Non abbiamo mai inteso ‘diffamare’ la direzione del DSM: abbiamo, invece, doverosamente

denunciato alla magistratura i gravi abusi contro i pazienti dei 3 Grossoni del DSM, citando

documenti dello stesso ospedale, testimonianze di familiari, relazioni cliniche e referti di medici

dell’Ospedale Niguarda.

In quanto alla direzione Generale non è mai stato nostro proposito fare ad essa delle accuse

specifiche, tant’è, Dott. Cannatelli, che lei non solo è tra i nostri interlocutori di questa lettera

aperta, ma anche a lei chiediamo esplicitamente di prendere i necessari provvedimenti sui Grossoni.


Non ci saremmo, infine, soffermati così a lungo su questo verbale dell’UPD se non fosse per la

grande violenza che questo secondo provvedimento rappresenta nei confronti delle legittime

aspettative di giustizia della D.sa Nicoletta Calchi, che sta vivendo da molti mesi il profondo dolore

e l’angoscia di chi vede muoversi inesorabilmente la macchinazione che cerca di cacciarla con

disonore dall’Ospedale Niguarda, a causa, in realtà, dell’eresia rappresentata dal suo rapporto

umano con i pazienti.

Egregio Direttore Cannatelli, Assessore Bresciani, Governatore Formigoni

l’Ospedale Niguarda gode di una grande reputazione nel mondo sanitario-ospedaliero italiano e

internazionale.

Siamo certi che coloro che all’interno di questo mondo hanno saputo dei gravissimi fatti che stanno

avvenendo da qualche tempo nei reparti Grossoni, si aspettano che la dirigenza dell’Ospedale

Niguarda, in accordo con le autorità sanitarie regionali, sappia prendere delle decisioni chiare,

tempestive ed efficaci per riportare la situazione dei Grossoni ad un grado di accettabile normalità.

Immaginatevi solo per un istante quale profonda ferita sarebbe inferta alla reputazione

dell’Ospedale Niguarda, qualora l’improvvido Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di

Niguarda riuscisse nel suo intento di risolvere l’attuale gravissima crisi di credibilità dei reparti

Grossoni e del DSM con il licenziamento della D.sa Nicoletta Calchi!

Se ciò avvenisse, l’immagine dell’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, sia in Italia che a

livello internazionale, si ammanterebbe fatalmente di vergogna!

La vicenda professionale, umana e medica della Dott. Calchi è la dimostrazione concreta che in

psichiatria un rapporto terapeutico con il paziente che rigetta il principio delle contenzioni

coercitive (come il chiudere a chiave, la contenzione fisica, la contenzione chimica, l’obbligatorietà

dei trattamenti sanitari), che rispetta il consenso consapevole e informato, che considera i farmaci

uno strumento condiviso per controllare dei sintomi e non l’oggetto stesso della terapia, che si basa

su un rapporto di reciproca fiducia, che rispetta la dignità umana e di cittadino del paziente, ebbene

un cosiffatto rapporto terapeutico produce degli effetti che si possono definire, a seconta dei punti

di vista, del tutto straordinari o logicamente conseguenti.

Quando nel rapporto terapeutico psichiatra ospedaliero-paziente questi principi non vengono tenuti

nel giusto conto gli effetti, ‘normalmente’, sono

- i pazienti psichiatrici sono fortemente scontenti delle terapie farmacologiche che sono

costretti ad assumere; spesso fanno resistenza o cercano di rifiutarle;

- nei reparti ospedalieri il clima non è sereno, per la tensione creata dalla imposizione delle

terapie farmacologiche e dalla paura di possibili ritorsioni da parte degli operatori;

- alla fine del ricovero in SPDC il conflitto presente in reparto si trasferisce all’interno della

famiglia, dove i familiari sono investiti a loro volta, del ruolo improprio di infermieri-

guardiani vicari, perennemente intenti a controllare se vengono assunte fino in fondo le

pozioni, le pillole, le gocce degli psicofarmaci;

- qualche volta, quando in queste sfortunate case, trasformate in una tragica parodia di mini

reparti psichiatrici coercitivi, la tensione sale troppo, allora sono gli stessi familiari che si

attivano affinchè intervenga dentro la casa stessa la forza pubblica ad afferrare con la forza

fisica il paziente reprobo per trascinarlo in reparto contro la sua volontà.

Gli effetti di un simile, purtroppo diffuso, rapporto terapeutico con i pazienti rendono la vita

difficile per molti pazienti e familiari, la privano di serenità, di senso e di speranza.

Ma non è affatto detto che questa strada non possa e non debba avere alternative.

Nella prima parte di questa lettera aperta abbiamo già avuto modo di parlare dei pazienti della D.sa

Calchi e dei loro parenti e della loro riacquistata serenità. Serenità che naturalmente stanno

perdendo o hanno di nuovo perso per via della perdita di contatto con la dottoressa, a causa del

feroce mobbing contro di lei e delle sospensioni decise dall’UPD.

Oltre che da parte dei pazienti e dei familiari che hanno firmato la lettera in sostegno della D.sa

Calchi, anche da vari operatori di Olinda, l’organizzazione che allestisce attività culturali, sociali, di

lavoro in una porzione dell’ex manicomio Paolo Pini, abbiamo sentito dire più volte convinti che

“la D.sa Calchi è la migliore psichiatra del DSM”.

Allora chiediamo a voi: qual è il senso di questa grottesca persecuzione da parte dell’UPD di

Niguarda?

Milano 22 marzo 2011

Telefono Viola di Milano