domenica 17 ottobre 2010

http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2010/mese/10/articolo/3498/

| Carlo Saitto*
Un piano punitivo per il dolore mentale
Foto Carla Cerati
Ho capito male. Rileggo il decreto del commissario Polverini sul riordino del sistema ospedaliero del Lazio con crescente incredulità: aumentano i posti letti psichiatrici! Faccio qualche conto saltando da una pagina all'altra, cercando invano una tabella riepilogativa. Nelle pieghe del piano, suddivisi tra le schede delle singole strutture di ricovero, i posti letto di psichiatria passano da 369 a 629: 260 posti letto in più, una crescita del 70%. Ma la legge Basaglia non prevedeva la chiusura delle istituzioni psichiatriche residenziali? Ma come è possibile che in un piano di rigido contenimento della spesa si investa proprio sui «manicomi»?
Provo a leggere con più attenzione: dei 260 posti letto in più, 50 sono affidati ai Dipartimenti di Salute Mentale delle aziende sanitarie pubbliche e tutti gli altri, l'80% del totale, sono attribuiti alle strutture private. Scelte tutte e due discutibili, ma non è proprio la stessa cosa. I posti letto dei Dipartimenti sono destinati a gestire i pazienti in crisi; certo se i servizi territoriali dei Dipartimenti funzionassero meglio le crisi dovrebbero essere meno frequenti e quando crescono i ricoveri qualcosa non funziona. Questi ricoveri segnalano dunque una difficoltà a riconoscere per tempo il disagio o a farsene carico in modo adeguato, ma possono essere considerati incidenti, talvolta non evitabili, in un percorso di presa in carico che fa parte, comunque, di un sistema di relazioni tra il paziente, il suo contesto sociale e i professionisti che ne hanno cura.
I ricoveri nelle strutture private, prolungati, ripetuti, separati, isolano il paziente, sono il segno della sua esclusione, innescano il circuito della cronicizzazione e cristallizzano la sofferenza anche quando la proteggono. Il disagio non si confronta con la realtà esterna e la realtà non accetta più il disagio come parte di sé. Gli esclusi sono nascosti, il mondo dei «sani» è più angusto, e io mi trovo a scrivere in modo superficiale di cose che tanti hanno detto, meglio, prima di me e che il nostro paese ha addirittura trasformato in una legge dello Stato.
260 posti letto in più significano ogni anno oltre 90.000 giornate di vita sottratte a persone che fanno già fatica a vivere. Provo a cercare delle ragioni: certo, quelli che si riaprono non sono davvero manicomi, in queste strutture le persone non vengono maltrattate, non vengono affamate, si spera almeno che non vengano legate e che qualcuno vigili sulla loro incolumità. È anche certo che i pazienti sono inviati a queste strutture dai medici dei Dipartimenti di Salute Mentale, e sono gli stessi medici che responsabilmente controllano e confermano i trattamenti, gli stessi medici che convalidano un'eventuale sedazione, una «contenzione farmacologia». Inoltre, è certamente difficile vivere accanto alla sofferenza, alla violenza senza ragione contro gli altri, contro le cose, contro se stessi. Infine, si osserva e mi dico io stesso, la riforma, almeno nella regione Lazio, è fallita, non è più il caso di insistere, troppi rischi, un carico inaccettabile sulle famiglie. Sento fare, e mi faccio, quest'ultima amara considerazione, come se la riforma fosse un'impresa o un negozio: se fallisce si chiude. Ma la riforma Basaglia non è un esercizio commerciale, è un esercizio terapeutico di efficacia dimostrata, che nel dare sollievo alle sofferenze di alcuni e, nel riportarle tra noi, cura anche la società, la migliora, aiuta la sua trasformazione in un organismo che accolga, che includa, che riconosca la diversità nella cittadinanza. Se non riusciamo a cogliere questa opportunità il fallimento è di tutti quelli che coltivano l'idea di una società solidale. Le indicazioni del piano ospedaliero della regione Lazio fanno sospettare che il governo regionale non sia tra questi ultimi. Le responsabilità degli operatori dei servizi sono certamente gravi e le risposte che avrebbero forse evitato questa scelta sono certamente mancate, ma in un colpo solo e in una fase di gravi restrizioni economiche e di tagli generalizzati la regione Lazio mette a disposizione del ricovero psichiatrico circa 10.000.000 di euro in più. Somme di questo genere non sono mai arrivate ai servizi di salute mentale per evitare il ricovero, per creare forme residenziali alternative e forme di inserimento sociale protetto. Le esperienze in questa direzione, che pure con fatica si sono realizzate, non sono state sostenute o valorizzate per la mancanza di risorse che ora, nel finanziamento del ricovero psichiatrico privato, sembrano abbondantemente disponibili. Sarà quanto meno il caso di chiedersi come mai.
*Dirigente della Sanità del Lazio