martedì 3 settembre 2013

Storia di un maestro lasciato morire in ospedale perché “matto”: una telecamera e un bravo giornalista rivelano la verità

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Storia di un maestro lasciato morire in ospedale perché “matto”: una telecamera e un bravo giornalista rivelano la verità

11-08-2011
Franco Mastrogiovanni
Franco Mastrogiovanni
Vallo della Lucania è una piacevole cittadina collinare, immersa nel verde dei boschi del Cilento. Nel suo tranquillo centro storico la vita scorre lenta, senza lo stress delle grandi città, lontana dalle funeste notizie di cronaca nera che affollano le pagine dei nostri quotidiani. Al tramonto, dalla centralissima sede vescovile, si scatenano i rintocchi di campana –per segnare le ore, per richiamare i fedeli- rintocchi perentori, quasi a ricordare al gregge l’autorità del vescovo.
Li sentiamo, questi rintocchi che in verità disturbano il sonoro, all’interno della sala consiliare dove si tiene un incontro per ricordare il secondo anniversario della morte di Franco Mastrogiovanni, “il maestro più alto del mondo”. Ma se non fosse per quelle campane, potremmo anche dimenticare l’esistenza della Chiesa e del suo vescovo in quel territorio, vista l’assenza sistematica e il silenzio disdicevole mantenuti dal prelato su questo caso talmente crudele e incredibile da colpire –io credo- anche gli animi più duri. Figurarsi la chiesa misericordiosa!
Nei giorni di fine luglio di due anni fa, sulla spiaggia di Acciaroli si era svolta una grottesca caccia all’uomo: da una parte i vigili urbani e la guardia costiera che tentavano di mettere le mani su un pezzo d’uomo che, dal mare dove si era rifugiato, si rifiutava di consegnarsi. Dall’altra quell’uomo solo, un maestro elementare, di animo e di militanza anarchica, come è tradizione in questo aspro Cilento, in vacanza sulla costa. Il processo in corso, una volta per tutte, stabilirà che cosa sia veramente successo su quella spiaggia; se sia vero che Mastrogiovanni guidava contro mano terrorizzando alcuni villeggianti che denunciavano il fatto; se sia vero che il sindaco di Pollica, quello stesso Angelo Vassallo assassinato quasi un anno fa da ignoti, probabilmente a causa della sua decisione di mantenere la legalità in un territorio appetito da molti interessi, abbia sbrigativamente firmato un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), di competenza dei sindaci, senza che fossero ottemperati tutti i requisiti di legge.
Fatto sta che, una volta in mano ai medici e infermieri del Reparto Psichiatrico dell’Ospedale di Vallo della Lucania, per il maestro anarchico, amato dai suoi scolari, perseguitato dalla giustizia –aveva subito un’ingiusta condanna che lo aveva portato in carcere ma era stato risarcito dallo Stato, una volta ristabilita la verità- è cominciato un assurdo calvario che lo ha condotto alla morte.
Il personale sanitario sostiene che Mastrogiovanni desse in escandescenze e che per questo si è dovuto sedarlo e legarlo al letto di contenzione, ma nulla giustifica il fatto che da quel momento, per più di ottanta ore, non sia stato nutrito né gli sia stato dato da bere nè gli siano stati sciolti i lacci che lo legava ai polsi e alle caviglie a quel mostruoso letto di tortura.
Dell’agonia del maestro, con lievi e noti problemi psichici, con una vita tribolata sempre dalla parte del torto, un uomo amato e amico di molti nella sua terra, probabilmente avremmo saputo solo la versione dei diciotto fra medici e infermieri che sono oggi sotto processo se non esistesse un video delle telecamere di sorveglianza dell’ospedale dove quelle maledette ottanta ore sono documentate minuto per minuto. È una visione insopportabile: l’uomo nudo o con un pannolone, con un polso sanguinante, segato dai lacci, che si dimena e protesta fino a che, poco a poco, perse le forze, si acquieta senza che gli inservienti, che, con straccio e secchio, lavano il sangue che cola in una pozza dirigano uno sguardo a quel corpo martoriato. Solo sei ore dopo la morte atroce di Mastrogiovanni, il personale dell’ospedale si è accorto del decesso. Intanto sua nipote, la giovane avvocatessa Serra, che aveva chiesto di poter vedere lo zio, era stata rimandata a casa con parole tranquillizzanti: “è sedato, deve riposare”.
Il processo si è aperto a Vallo della Lucania qualche mese fa grazie all’impegno dei parenti della vittima, dei suoi amici e di tutti i cilentani onesti e sensibili. Accanto a loro –e presenti nel ricordo del 4 agosto nella sala comunale della città.- il giornalista de “Il Mattino”, Antonio Manzo che è stato il primo a rivelare i fatti e che definisce quel filmato “l’incorruttibile video”, la prova indiscutibile dell’assurdo calvario del maestro. Una proposta irrituale, ma eticamente condivisibile è venuta dal giornalista Angelo Pagliaro che si è offerto di pagare diciotto copie del video da regalare ai diciotto imputati perché se lo rivedano e lo facciano vedere ai propri familiari. Luigi Manconi, presidente dell’Associazione “A buon Diritto”, che del caso ha parlato nel suo libro Quando hanno aperto la cella, ha ricordato a tutti che i testimoni che non soccorrono possono diventare degli ottusi carnefici.
È questa infatti la morale di questo episodio atroce: vittima di un eccesso di tutela, Mastrogiovanni è stato ricoverato in una struttura dello Stato che dovrebbe esistere a beneficio dei cittadini. La pigrizia, il tornaconto personale, la pusillanimità, il cinismo hanno fatto in modo che le ore trascorressero infliggendo a quel grande corpo in solitudine, l’orrore della tortura, la disperazione dell’ abbandono, la rabbia dell’ingiustizia. La sorella e la nipote di Mastrogiovanni (le pie donne –le definisce Manconi) non sono restate indifferenti, non si sono arrese, non hanno obbedito alla legge del più forte e oggi si vedono accompagnate da sempre più numerosi cittadini di Vallo, della Campania e di tutt’Italia a rivendicare un diritto umano fondamentale: il diritto alla verità.