Un albergo autogestito - progetto di autoaiuto
Maths Jesperson, uno dei fautori di un albergo autogestito di Helsingborg, cittadina vicino a Stoccolma, si autodefinisce sopravvissuto della psichiatria. Basandosi sulla propria esperienza personale, ha constatato che la psichiatria non mette in atto alcun processo di guarigione, ma funziona come una catena di montaggio che produce incessantemente pazienti psichiatrici: “Invece di guarirmi o almeno mitigare la mia sofferenza, gli psicofarmaci avevano come unico effetto, quello di aumentarla. Il mio intenso disagio era raddoppiato: alle sofferenze originarie si erano aggiunti degli insopportabili effetti collaterali. Era veramente terrificante. Quando dopo due anni lasciai l’istituto psichiatrico, la mia pazzia era peggiorata. La psichiatria non mi aveva aiutato, ma aveva peggiorato la mia situazione. I neurolettici si erano rivelati strumenti di tortura. Alla mia dimissione lo psichiatra mi aveva dato molti neurolettici e anche alcune ricette per poterli acquistare. A casa buttai subito nell’immondizia tutte queste cose. In quel periodo non sapevo che non si deve interrompere di colpo una terapia a base di neurolettici, dopo un periodo di assunzione relativamente lungo di due anni, ma che la sospensione va fatta gradualmente. Tuttavia l’interruzione brusca dell’assunzione di neurolettici non ebbe su di me delle conseguenze gravi. Sono stato molto fortunato che la psichiatria non avesse ancora scoperto gli “effetti positivi” degli antidepressivi per curare le “nevrosi ossessive”, altrimenti avrei probabilmente accettato questi psicofarmaci, perché avrebbero un po’ mitigato le mie sofferenze. Ma in quella maniera non sarei mai riuscito a guarire, e adesso mi ritroverei a essere un ammalato cronico, per sempre dipendente dagli antidepressivi”. Jesperson, che ha continuato il suo impegno nella critica radicale alla psichiatria, descrive i motivi delle sue crisi: “La pazzia non è una malattia che va curata. La mia pazzia irruppe perché esigeva da me una nuova vita. La sofferenza, un segnale che la condizione della mia vita di allora non era affatto buona, rappresentava anche una spinta che mi costrinse a uscire da una situazione insopportabile e senza senso, e a cercare la via per una vita autentica. Senza questa costrizione da parte della pazzia non sarei riuscito a fare un passo avanti. Gli psicofarmaci invece bloccano questo stimolo e sotto il loro effetto si resterebbe per sempre fissati nella sofferenza della pazzia”.
L’Hotel Magnus Stenbock è stato costruito nel 1898 e ristrutturato negli anni ’90. A partire dal 1995 Maths Jesperson vi ha realizzato, insieme ad altri ex-utenti, il progetto di auto-aiuto di un luogo autogestito, che potesse accogliere di persone con problemi abitativi, di socialità e/o esistenziali.
Su questo progetto, unico nel suo genere, esistono numerosi articoli e persino il Dr. Fox, deputato conservatore del parlamento britannico, ha citato lo Stenbock come esempio positivo . A partire dal 2004 l’albergo è stato preso in carico dai servizi sociali di Helsingborg, non perché l’autogestione si fosse resa suscettibile di biasimo, ma a causa delle leggi contrattuali dell’Unione Europea, che sono molto complicate. Ci sono però forti probabilità che si ritorni all’autogestione. Gli operatori intanto continuano ad essere gli stessi di prima e anche la routine quotidiana non è cambiata. Ma dato che ora viene amministrata dai servizi sociali, la gestione democratica è andata perduta, gli inquilini non possono più partecipare alle decisioni ed è scomparsa la vivace rete sociale che rendeva realizzabile i contatti sociali, di primaria importanza per gli inquilini. “Durante il periodo aureo dell’autogestione, il principio fondamentale era”, scrive Maths Jesperson, “che la permanenza all’hotel, non venisse considerata come facente parte di un processo riabilitativo. Abitare là rappresentava una forma abitativa tra tante altre, senza che vi fosse stato l’obbligo, a sottoporsi ad un programma di trattamenti sanitari e riabilitativi. L’hotel era solo un luogo per abitarci, tutto il resto veniva gestito dagli inquilini stessi. In genere ci si aspetta che la permanenza in un albergo sia solo provvisoria, o un passaggio intermedio ad una propria abitazione”. Ma l’esperienza conferma, che per molti questa non sempre rappresenta la soluzione ottimale, soprattutto per le persone sole. La maggior parte di coloro che vivono in periferia, ad esempio, non si cucinano mai un pasto decente. Forse per loro è prioritario vivere in un posto dov’è possibile avere contatti sociali.
Gli inquilini dell’albergo non dovevano vivere sotto la costante pressione di dover sloggiare. Alcuni rimanevano solo alcune settimane, il tempo necessario per poter riorganizzare la propria situazione, altri invece sono rimasti per anni. L’albergo era aperto a tutti, alcuni arrivavano dalle istituzioni psichiatriche, altri erano senza-tetto o provenivano da alloggi di fortuna. Eppure essere stati psichiatrizzati, reclusi in carcere o utenti dei servizi sociali, non era una condizione indispensabile per ottenere una camera. Per esempio, un uomo di ottantasette anni, a cui era stata amputata una gamba e non riusciva più a fare le scale, non aveva mai avuto alcun contatto con la psichiatria o i servizi sociali, però non voleva diventare ospite di un ricovero per anziani, ma preferiva vivere con persone più giovani e aveva scelto lo Stenbock come propria residenza. Disse: “So che sono matti, ma non me ne importa”. Ha festeggiato anche il suo novantesimo compleanno in albergo.
Fin dall’inizio la creazione di un luogo d’incontro nel quale fosse possibile sviluppare tante attività culturali, era stato un punto essenziale, perché non si voleva offrire solo uno spazio abitativo, ma anche la possibilità di creare amicizie e una rete privata, al di fuori delle istituzioni psichiatriche e sociali. Questo è un punto chiave, perché tante persone ritornavano alla psichiatria, a causa della mancanza di socialità al di fuori delle istituzioni.
Un locale del piano terra era riservato al “Ombudsmann”, un tipo di avvocato, sia per i membri del RSMH (Riksførbundet før Social och Mental Hælsa – Associazione svedese degli (ex) utenti psichiatrici), sia per gli altri. Alcuni locali che erano stati ingranditi e venivano usati per attività di socialità, per fare musica e teatro e come biblioteca. Occasionalmente venivano organizzati party, serate culturali o danzanti, conferenze, workshop di pittura, mostre artistiche e altre iniziative simili.
Per quanto riguarda i costi, una parte veniva coperta dagli affitti, una parte dai finanziamenti statali straordinari per l’assistenza sociale e una parte dal comune di Stoccolma. Le autorità politiche, dapprima scettiche, erano state persuase a finanziare un progetto cosi vasto come quello dell’Hotel Magnus Stenbock, dopo che si erano resi conto che le spese non erano alte e anzi, si risparmiava parecchio, in quanto i costi dei ricoveri in psichiatria, o le permanenze nelle istituzioni psichiatriche pubbliche o private, sarebbero stati di almeno dieci volte più elevati. Un giornale ne annunciava così l’apertura: “L’Hotel Magnus Stenbock è un buon affare per la città”.
Il progetto si basava su un principio fondamentale: anche se si offriva un posto dove stare a chi, a causa di una storia psichiatrica, era rimasto senza casa o aveva problemi a gestirsi la quotidianità, nessuno aveva tuttavia l’obbligo di entrare a far parte di un programma di riabilitazione, in disaccordo con il modello medico della psichiatria, che trasforma in disabili e pazienti cronici, persone che in uno o più periodi della loro vita, possono aver avuto problemi esistenziali. “Personalmente”, sostiene Jesperson, “detesto tutto ciò che riguarda il concetto della riabilitazione, da cui mi sento offeso allo stesso modo che dal concetto di salute mentale. […] Considerarci da questo punto di vista significa aggredire le nostre esperienze più intime e vere, che a loro modo sono sacre, anche se, osservati superficialmente, possono sembrare folli”.
Spesso le persone, dopo un ricovero in un ospedale psichiatrico, non sono più in grado di badare a se stesse e diventano dipendenti dei vari servizi sociali. Lo scopo dello Stenbock non è però quello di fungere da servizio complementare alla psichiatria, ma da alternativa.
Ci sono persone, che pur avendo bisogno di un posto dove stare, di relazioni umane e anche di sostegno, non necessitano tuttavia di un programma di riabilitazione e di operatori professionali. “Queste considerazioni sono di importanza fondamentale per il nostro albergo autogestito, dato che si basa su un programma di auto-aiuto”, precisa Maths Jesperson, che attualmente lavora come attore, giornalista di una testata svedese e ricercatore all’università di Lund, e precisa che con l’istituzione psichiatrica, lo Stenbock non ha mai avuto problemi. Il primario della locale psichiatria lo riteneva addirittura un posto molto buono.
Se e quale terapia seguire era ad ogni modo questione privata di ciascuno. Alcuni degli inquilini continuavano a rimanere utenti psichiatrici, altri invece non volevano più avere a che fare con la psichiatria. “Naturalmente davamo il nostro appoggio durante il distacco di chi voleva uscire dal sistema psichiatrico e preferiva vivere senza le interferenze di alcuna autorità”, precisa Maths. Un albergo, d’altronde, è un luogo particolare perché offre uno stile di vita privato e anonimo e allo stesso tempo collettivo e sociale. Ognuno poteva scegliere se condurre un tipo di vita da solitario o se preferiva partecipare alla vita sociale dell’hotel. Nessuno veniva obbligato alla socialità, alcuni inquilini si potevano incontrare solo occasionalmente, quando lasciavano la loro camera per uscire.
Abitare in albergo è stata una vecchia tradizione, soprattutto negli anni ’50, in città come Parigi e New York molte persone vivevano negli alberghi, pratica che nel frattempo è caduta in disuso.
Alcuni di coloro che abitavano allo Stenbock, che aveva solo due collaboratori fissi, lavoravano in diversi settori dell’albergo. Lavoravano da lunedì a venerdì nelle ore d’ufficio usuali e al di fuori di questo orario erano reperibili telefonicamente per le emergenze. Succedeva solo raramente che venissero chiamati, perché gli abitanti dell’albergo, in genere risolvevano da soli i problemi urgenti, come ad esempio chiamare l’ambulanza per un ferito. I dipendenti stabili non avevano nessuna formazione specifica in campo psichiatrico o sociale, ma erano operai, cosa che si era rivelata essere molto vantaggiosa, perché l’albergo aveva sempre avuto bisogno di riparazioni. Oltre ai due dipendenti fissi, lavoravano anche degli inquilini dello Stenbock, retribuiti dai servizi sociali, nell’ambito del programma per i lavori protetti. Uno di loro lavorava alla reception. Nell’albergo erano attivi anche i membri dell’associazione locale degli utenti (RSMH). La collaborazione aveva il vantaggio di impedire l’usuale “noi” e “loro”.
I pazienti psichiatrici devono sempre fare molta attenzione a ciò che dicono e fanno, perché tutto può comparire nelle cartelle cliniche e può avere conseguenze negative. I pazienti psichiatrici imparano quasi sempre ciò che è meglio dire, e ciò che invece è meglio tacere. Sanno cosa vuole sentirsi dire il medico e recitano il ruolo. Chi ha imparato il ruolo del paziente psichiatrico, non lo dismette tanto presto. Era perciò importante nella filosofia del Hotel Magnus Stenbock, fare in modo che inquilini e collaboratori non creassero due gruppi contrapposti e che una persona potesse appartenere a entrambe le situazioni contemporaneamente. Questo era molto importante, perché si riuscisse a rompere il ruolo di paziente, ormai saldamente cementato. Dato che l’hotel era un progetto di auto-aiuto, tutti gli inquilini potevano diventare membri dell’associazione locale degli utenti, l’RSMH – Helsingborg, che dirigeva l’albergo. Acquisivano in questo modo la possibilità di influenzare direttamente la concezione, l’ordinamento della casa, le finanze, le disposizioni per i collaboratori e potevano anche far parte della direzione, come il presidente stesso, che viveva in albergo. Molti dei membri degli utenti, sono stati inquilini dell’albergo; ne erano quindi informati nei dettagli. In pratica, l’albergo era realmente autogestito dai suoi inquilini.
I testi che ho utilizzato per questo articolo:
Peter Lehmann e Peter Stastny (a cura di), Alternatives Beyond Psychiatry 2, Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag, Berlin, 2007;
Kerstin Kempker e Peter Lehmann (a cura di), Statt Psychiatrie, Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag, Berlin, 1993;
Kerstin Kempker (a cura di), Flucht in die Wirklichkeit, Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag, Berlin, 1998;
Peter Lehmann (a cura di), Coming off Psychiatric Drugs, Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag, Berlin, 2002;
Esiste anche un documento video:
Fleischmann, P./Brown, G.: “Doing it ourselves Swedish style: A look at user run selfhelp services and how they operate in Sweden”, video, London, Brent Lund Alternatives with Cable Crouch Productions and Capricorn Productions 1999;
Altri testi:
Fleischmann, P./Brown, G.: “Luxury hotels for the mentally ill! What the U.K. can learn from Swedish user-run mental health services”, brochure, London, Brent Lund Alternatives with Cable Crouch Productions and Capricorn Productions 1999;
Hallows, N.: “Three stars, no stigma”, in: BMA News del 28.02.2004, pp. 13-14;
Jesperson M.: “Magnus Stenbock: A user-run hotel in Helsingborg”, in: L. Boone (a cura di): “20 jaar – ans – years hand in hand”, Gent: Hand in Hand, 1997, pp. 172-177;
Jesperson M.: “Das nutz-kontrollierte Hotel Magnus Stenbock in Helsingborg”, in: Psychosoziale Umschau, 18. Jg. (2003), nr. 3, pp. 39-40;
United Kingdom Parliament: Protocollo del 25 giugno 2002, colonna 757; Sito web del United Kingdom Parliament: www.publications.parliament.uk/pa/cm200102/cmhansrd/vo020625/debtext/20625-08.htm