di Erveda Sansi
Dedicato a “Martino” Flavio Martinalli
(25/07/1960 – 25/06/2008)
Il nome Weglaufhaus, traducibile con Casa del fuggitivo, indica un singolare edificio circondato da alberi che si trova a Berlino. A partire dal 1996 vi trovano rifugio quelle persone che, avendo già subito ricoveri psichiatrici, ritenute non più funzionanti e prive di una sistemazione abitativa adeguata, sono sotto la costante minaccia di un intervento psichiatrico coercitivo. La psichiatria, attraverso centri psicosociali, servizi diurni, case protette, case famiglia ecc., ha esteso il proprio controllo sugli individui in modo sempre più capillare, non solo in Italia e in Germania, ma in tutto il mondo cosiddetto civile.
Lo scopo principale della Weglaufhaus è quello di offrire un luogo al di là delle norme e dei metodi della psichiatria, dove non esistono né diagnosi, né terapie. Invece della prescrizione e della somministrazione di neurolettici, antidepressivi e tranquillanti, della reclusione forzata, della contenzione al letto e di altri metodi disumanizzanti, viene utilizzato il sacco di sabbia per la boxe e soprattutto la campagna che si estende fino all’abitato più vicino, dov’è possibile fare lunghe passeggiate.
«Si litiga, si soffre, si urla, si distrugge, ma raramente si assumono farmaci o alcolici, anche se si fuma molto. Si bevono tè, tisane di tutti i tipi, a volte anche molto caffè. Chi non riesce a dormire di notte resta sveglio, parla con gli operatori, con i coinquilini o con se stesso, fa il bagno, ascolta musica, legge o si cucina qualcosa. Sia gli abitanti che gli operatori del Weglaufhaus, amano fare lunghe passeggiate», scrive Kerstin Kempker, ex-utente psichiatrica e operatrice sociale della Casa del fuggitivo.
«Almeno il 50% degli operatori sono per statuto ex-utenti psichiatrici. Tuttavia non viene reso noto chi degli operatori sia un ex-utente e chi no, dato che poteva succedere di essere guardati attraverso gli occhiali diagnostici», spiega un’operatrice in un’intervista su Die tageszzeitung del 25/04/2005, e prosegue: «Per noi l’esperienza psichiatrica è una risorsa, una qualifica, ma purtroppo la gente comune ha un’altra opinione al riguardo, e quindi si viene isolati, stigmatizzati, e si porta perennemente il marchio della diagnosi in fronte».
Qui non si creano le continue occasioni per l’assunzione di psicofarmaci che molti hanno conosciuto nell’istituzione psichiatrica. Psicofarmaci di cui è riconosciuta la pericolosità, anche a dosaggi minimi, e i cui danni, spesso irreversibili, possono manifestarsi attraverso la discinesia tardiva, l’effetto zombie, il suicidio, tumore, problemi cardiaci ed epatici, ecc. La maggioranza delle persone, soprattutto all’inizio, ha difficoltà a sopportare una condizione senza psicofarmaci perché, anche se il desiderio di liberarsene è enorme, essi rappresentano per così dire “l’ultima stampella”. Non hanno il coraggio di sospenderli da soli, anche se desidererebbero farlo.
A differenza che nelle istituzioni psichiatriche, qui si ha l’occasione di parlare con gli operatori non già per contrattare gli psicofarmaci, ma per dialogare con qualcuno interessato a capire il problema e a cercare una soluzione, mai farmacologica o coercitiva. Coloro che hanno soggiornato al Weglaufhaus, avevano smesso gli psicofarmaci prima del loro ingresso; oppure li sospendevano (a scalare o interrompendoli di colpo) subito dopo. Gli operatori e i coinquilini sono quindi molto esperti nelle problematiche che riguardano la dismissione degli psicofarmaci.
Dati statistici hanno riportato che più del 90% degli inquilini vive con la previdenza sociale e che gli altri usufruiscono dell’indennità di disoccupazione o della pensione. Circa l’80% non ha nessun tipo di formazione professionale, molti hanno interrotto il percorso scolastico. Tutti sono già stati ricoverati in psichiatria, la maggior parte diverse volte, da 3 a 48 e per periodi che variano da 6 mesi a 10 anni. I 2/3 hanno sospeso gli psicofarmaci con successo. Un terzo invece è di nuovo finito in psichiatria, almeno di passaggio. La ricaduta potrebbe essere stata causata dal convincimento di poter risolvere tutti i problemi solo con la fuga dalla psichiatria, o da problemi di disintossicazione, come alterazione dei recettori, fenomeni da rebound, ipersensibilizzazione del sistema nervoso. Altri motivi possono essere adducibili all’esclusione dalla produzione, dai consumi, dalla socialità, dagli affetti e dai bisogni.
La persuasione che tutte le proprie sofferenze siano da ricondurre all’incomprensione degli altri, senza dover cambiare niente di se stessi, determina a volte una condizione di stallo da cui è impossibile uscire. Un altro problema è rappresentato dalla carenza di medici che potrebbero essere di appoggio e accompagnare una disintossicazione ambulatoriale, evitando così l’incremento delle ansie dovute alla sospensione.
Per chi viene accolto nella Villa Stöckle, ci sono poche restrizioni e divieti. Non è tollerata la violenza e non sono ammesse né droghe, né alcolici. È indispensabile la partecipazione a due riunioni settimanali, durante le quali ci si suddivide i lavori comuni. Gli operatori e gli inquilini hanno lo stesso diritto di voto. Tutti contribuiscono alla cassa comune con un importo di € 3,50 giornaliere.
Prima di tutto si aiutano le persone che si rivolgono al Weglaufhaus a risolvere i problemi concreti, come l’espletamento di incombenze burocratiche o la ricerca di un lavoro. Viene data loro una chiara informazione per ciò che riguarda i diritti e i doveri. Assistenza in questioni finanziarie, legali e sanitarie rappresentano un altro compito degli operatori. Sono inoltre fondamentali il ripristino dei diritti civili e l’elaborazione delle esperienze di violenza, compresa quella psichiatrica. La ricerca di percorsi che promuovono l’indipendenza e le strategie di auto-aiuto, contribuiscono a sviluppare prospettive e capacità di organizzare la vita.
Sabine Dick, operatrice del Weglaufhaus, indica nel being-with, cioè nello stare psicologicamente e moralmente vicino agli ospiti e nel promuovere la reciproca assistenza, una pratica che favorisce l’autonomia e il benessere. La focalizzazione sulla vita quotidiana e sull'autosufficienza della comunità fa sentire gli ospiti responsabili e li induce all'autodeterminazione. Prendersi completamente carico della propria vita, dopo esperienze psichiatriche coercitive, è uno dei risultati auspicati dopo un percorso nella Villa Stöckle.
A volte succede che gli operatori siano completamente sfiniti, quando devono far fronte a situazioni critiche molto pesanti a causa di persone completamente confuse. «Ma», riferisce l’intervistata dalla Taz, «abbiamo una soglia di tolleranza molto alta, anche perché ne abbiamo fatto personale esperienza, e quindi non ne abbiamo paura. Sappiamo che una crisi può diventare anche molto brutta e si è completamente sottosopra, ma sappiamo che si può affrontare tutto senza psicofarmaci.
«Personalmente sono stata molto fortunata perché anni addietro ho trovato una dottoressa che mi ha aiutato a sospendere gli psicofarmaci».
Nota bibliografica. La letteratura relativa a quest’esperienza, tuttora attiva e insignita nel 2004 del premio Ingeborg-Drewitz, non è purtroppo tradotta in italiano:
www.weglaufhaus.de
Uta Wehde, Weglaufhaus - Zufluchtsort für Psychiatrie-Betroffene, Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag, Berlin, 1991
Kerstin Kempker (a cura di), Flucht aus der Wirklichkeit – Das Berliner Weglaufhaus, Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag, Berlin, 1998