mercoledì 8 aprile 2009

LO PSICOFARMACO POTREBBE ESSERE IL TUO PROBLEMA - Introduzione alle ricerche di Peter Breggin

di Erveda Sansi

Peter Breggin, medico e psichiatra, si è formato alla Harvard University e alla Case Western Reserve School of Medicine. Ha lavorato come docente presso la Harvard Medical School, la Washington School of Psychiatry, la Johns Hopkins University e come consulente alla National Institute of Mental Health (NIMH). Alla George Mason University ha insegnato Conflict Analysis and Resolution. Attualmente lavora come libero professionista a Ithaca, New York. Dr. Breggin dirige l’International Center for the Study of Psychiatry and Psychology (ICSPP.org) e ha fondato la rivista Ethical Human Psychology and Psychiatry.

Durante la sua esperienza come tirocinante e poi come medico in una clinica psichiatrica, considerava l’istituzione psichiatrica ancora come suscettibile di riforma. Dopo aver osservato l’estrema nocività di quelle che impropriamente vengono definite “terapie psichiatriche”, si è dedicato incessantemente alla critica radicale della psichiatria. Nei suoi numerosi libri, espone la politica della psichiatria, l’effetto dannoso degli psicofarmaci, dell’elettroshock e della psicochirurgia, e descrive le alternative più umane per affrontare piccoli e grandi problemi psicologici, da lui percorse con successo.

Breggin rivolge lo sguardo critico alle teorie e terapie psichiatriche, ad esempio quelle che consistono nella somministrazione di tranquillanti che provocano dipendenza, inducendo così i pazienti e i loro famigliari a convincersi di non avere alcuna possibilità di cambiare autonomamente la loro situazione. Essere marchiati come ammalati mentali rappresenta spesso l'inizio di una carriera come utenti psichiatrici, che durerà per tutta la vita.

Gli psicofarmaci sono molto più nocivi di quanto i consumatori e i medici pensino. Producono numerosi effetti dannosi, potenzialmente fatali. Inoltre causano dipendenza e creano gravi problemi di astinenza, generando sofferenze sia dal punto di vista fisico, che emotivo. Per questo motivo e specialmente quando gli psicofarmaci sono stati assunti per un lungo periodo di tempo, la supervisione da parte di un esperto può essere utile e a volte addirittura necessaria, durante il processo di disintossicazione. Una reazione tipica provocata dalla sospensione di neurolettici consiste in un contraccolpo del sistema colinergico. Altre reazioni possono essere nausea, spasmi involontari, contorsioni, tic, tremori e altri movimenti muscolari. In molti casi questi movimenti cessano gradualmente dopo poche settimane, o alcuni mesi, a volte invece diventano cronici. I movimenti involontari, collegati da caso a caso alla sindrome da parkinson, alla discinesia tradiva, alla distonia o all'acatisia emergenti, causano stati di prostrazione, ansietà e angoscia. Non tutti i medici riconoscono questi sintomi come effetti della disintossicazione, dato che nella maggior parte dei casi vengono riscontrati anche durante l'uso degli psicofarmaci, anche se spesso si evidenziano o peggiorano proprio quando l'utente riduce o sospende lo psicofarmaco.

Le accurate ricerche di Breggin lo hanno portato a constatare che i trattamenti psichiatrici che si basano su elettroshock, psicofarmaci e psicochirurgia, ottengono il loro effetto mediante la debilitazione, causata dal deterioramento del cervello; cioè il loro ruolo viene svolto principalmente provocando disfunzioni cerebrali, danneggiando e alterando le normali funzioni cerebrali.

Il numero delle persone dipendenti da psicofarmaci è aumentato in modo vertiginoso negli ultimi anni, non solo in campo psichiatrico. Gli psicofarmaci non vengono solo somministrati a tutti i pazienti psichiatrici in regime di ricovero, ma prescritti già durante la prima visita ambulatoriale, dove viene loro spiegato che dovranno assumerli per tutto il resto della vita, come succede con l’insulina per i diabetici. Operatori sociali e psicologi si sentono spesso costretti a inviare i propri pazienti al servizio psichiatrico e, fa presente Breggin, si ricorre sempre meno ai colloqui di psicoterapia. Anche i non professionisti appoggiano con entusiasmo gli psicofarmaci e spesso, indotti dalla pubblicità, sono i pazienti stessi che chiedono al medico un determinato tipo di psicofarmaco.

La ripresa della psichiatria organicista ha favorito non solo l’incremento degli psicofarmaci, ma anche il ritorno della pratica dell’elettroshock, e quella della cosiddetta psicochirurgia, nella convinzione che determinati comportamenti o sentimenti siano causati da uno squilibrio delle funzioni cerebrali. Qualsiasi critica della psichiatria, viene considerata un’eresia.

Breggin sostiene che l’effetto primario degli psicofarmaci viene raggiunto attraverso le disfunzioni cerebrali e nei suoi numerosi libri dimostra, in modo esauriente soprattutto in Brain- Disabling Treatments in Psychiatry: Drugs, Electroshock, and the Role of the FDA – Springer Publishing Company, 1997, che essi non possono rappresentare un metodo curativo per qualsivoglia “disturbo psichico”. Invece di correggere squilibri biochimici, li provoca, a volte anche in modo permanente.

La sua critica coincide con un punto di vista alternativo, cioè che gli approcci sociali, educativi e spirituali, sono i più utili nell'aiutare gli individui a superare i loro problemi personali e a vivere una vita più piena di significato.

Il pensiero psichiatrico radica le proprie convinzioni su una serie di assunti che, sia specialisti che profani, considerano provati scientificamente. E’ invece stato dimostrato che questi assunti sono in realtà dei miti, degli artifici che sostengono un sistema di credenze e di consuetudini. Nel testo sopraccitato l’autore ne dimostra l’erroneità, basandosi sulla farmacologia, sulle evidenze scientifiche e cliniche, e sul buon senso. Tutti i trattamenti bio-psichiatrici provocano l’alterazione e il danneggiamento delle normali funzioni cerebrali. Contrariamente alle radicate convinzioni di chi propone gli psicofarmaci, non ci sono specifici effetti psicoattivi dei farmaci per specifici disordini mentali. Anche se trattamenti specifici hanno effetti differenti e riconoscibili sul cervello, hanno tuttavia in comune la facoltà di produrre disfunzioni generalizzate con qualche grado di danneggiamento su tutto lo spettro delle funzioni emotive e intellettuali. Dato che il cervello è altamente integrato, non è possibile disabilitare in maniera circoscritta alcune funzioni cerebrali senza danneggiarne altre. Ad esempio, osserva Peter Breggin, ridurre la sensibilità emotiva e provocare uno stato di letargia, danneggia le funzioni cognitive come l’attenzione, la concentrazione, la prontezza di riflessi, la coscienza di sé, l’autostima, la sensibilità sociale e l’autonomia. Un altro effetto può essere l’apatia, un’indifferenza simile a quella provocata dalla lobotomia. I pazienti rispondono ai trattamenti cerebro-debilitanti con le loro proprie reazioni psicologiche, che possono essere apatia, euforia, accondiscendenza o risentimento.

Gli interventi biopsichiatrici danneggiano le funzioni mentali, psicologiche e spirituali, sia per una disfunzione generalizzata del cervello, che per le specifiche conseguenze sul lobo frontale, sul sistema limbico e su altre strutture. Inoltre può essere molto difficile separare le risposte indotte dai farmaci da quelle indotte dalla nostra psicologia.

Le sofferenze, gli stati irrazionali o di stress emotivo, di norma trattate con gli interventi biopsichiatrici, non hanno cause genetiche o biologiche. È puramente speculativo ed è persino naif asserire che antidepressivi come il Prozac correggano una neurotrasmissione serotoninergica ipoattiva (uno squilibrio biochimico della serotonina), o che neurolettici come l'Haldol correggano neurotrasmissioni dopaminergiche iperattive (uno squilibrio della dopamina).

I problemi trattati dagli psichiatri non sono basati su malfunzionamenti del cervello, ma da esperienze di vita di individui con cervelli normali. Il fatto che un farmaco influenza il cervello e la mente in una maniera che sembra positiva, non conferma il fatto che tale individuo soffra di un sottostante disordine biologico. Quando un farmaco sembra efficace rispetto a un particolare problema, questo spesso dipende dal fatto che esso ha un effetto soppressivo o energizzante sul SNC. Per esempio, se i pazienti cosiddetti depressi sono giù sia emotivamente che fisicamente, dare loro un neurolettico che causa ritardi a livello psicomotorio tenderà a farli peggiorare. Di questi pazienti si dice facilmente che sembrano migliorare quando vengono stimolati artificialmente. D'altra parte se i pazienti cosiddetti “schizofrenici” sono agitati e difficili da controllare, non avrebbe senso dare loro degli stimolanti. Di questi si dice che sono migliorati se assumono un neurolettico che riduce o appiattisce la loro risposta emotiva complessiva. Questi effetti sono ben lontani dall'essere risposte specifiche per malattie specifiche.

Inoltre, quando per esempio un antidepressivo induce un eccesso di serotonina nella connessione sinaptica, il cervello compensa, riducendo la fuoriuscita di serotonina nelle terminazioni nervose e riducendo il numero di recettori nella sinapsi che può ricevere la serotonina. Similmente, quando un neurolettico riduce la reattività nel sistema dopaminergico, il cervello compensa, producendo iperattività nello stesso sistema, cementando il numero e la sensitività dei recettori della dopamina. A causa del fatto che il cervello cerca di compensare l'effetto di molti farmaci psicoattivi, i pazienti possono avere difficoltà ad abbandonare la maggior parte dei trattamenti psichiatrici. Fisicamente, il cervello può non riprendersi dall'effetto dei farmaci con la stessa rapidità con la quale viene tolto, tanto che il meccanismo compensatorio può avere bisogno di settimane o mesi per tornare alla normalità, dopo che il farmaco è stato abbandonato. A volte, come succede nella discinesia tardiva, il cervello non riesce più a tornare alla normalità.

“Nella mia esperienza di esperto medico clinico e forense”, afferma Peter Breggin, “ho visto pazienti rimanere per anni in uno stato di seria intossicazione a causa di uno o più farmaci senza che se ne rendessero conto. Attribuendo le loro condizioni alle loro stesse risposte emotive o a fattori di stress ambientale, essi possono persino chiedere di aumentare i farmaci.

La maggior parte degli approcci alla vita auto-degradanti, dipende dal fatto che la gente che si sente senza speranza e impotente, tende ad abbandonare l'uso della ragione, dell'amore, e dell'autodeterminazione, per lasciarsi sopraffare dalla sofferenza emotiva, dai conflitti interni e dagli stress della vita. Cercano quindi le risposte altrove, fuori da loro. Nei tempi moderni questo significa spesso rivolgersi a degli “esperti”.

La negazione è una delle più primitive risposte alle minacce. Le persone evitano di affrontare i problemi e quindi diventano incapaci di risolverli. La negazione come difesa tende a produrre una vita inadeguata”.

Per ulteriori informazioni:

www.breggin.com

Elettroshock. I guasti del cervello, Feltrinelli, 1984

Brain- Disaibling Tratments in Psychiatry: Drugs, Electroshock and the Role of the FDA, New York, Springer, 2008

Toxic Psychiatry, 1991, New York, St.Martin’s Press

The Antidepressant Fact Book, 2001,

Your Drug May Be Your Problem: How and Why to Stop Taking Psychiatric Drugs (coautore David Cohen) 1999, Da Capo Press, Cambridge

Talking Back to Prozac, (coautore Ginger Ross Breggin) 1998, New York, St.Martin’s Press

The Heart of Being Helpful: Empathy and the Creation of a Healing Presence, New York, Springer, 1997